venerdì 30 gennaio 2015

Toni Servillo: l'erede di De Filippo

Toni Servillo, attore napoletano già affermato in Italia e all’estero da diversi decenni, in occasione del trentennale dalla morte del grande Eduardo De Filippo, ha calcato le scene dei principali teatri italiani e reinterpretato il famoso attore.
Egli può essere definito un nobile interprete che rende omaggio a un altro grande del passato.
A proposito del talento di De Filippo, si possono citare diverse opere in cui egli ha mostrato la sua maestria interpretativa; un esempio è Natale in casa Cupiello, la commedia forse più nota di Eduardo, portata in scena per la prima volta al Teatro Kursaal di Napoli il 25 dicembre 1931, che segna di fatto l'avvio della felice esperienza della Compagnia del "Teatro Umoristico I De Filippo", interpretata dai tre fratelli napoletani e da attori, a quei tempi alle prime armi, che diverranno poi famosi nei decenni successivi: si pensi ad Agostino Salvietti, Pietro Carloni, Tina Pica, Dolores Palumbo. Una commedia questa molto gradevole, che facilmente il pubblico può seguire, nonostante le due ore di performance; alla base di questa facile fruibilità vi è, ovviamente, la spontaneità di Eduardo, la naturalezza con cui egli interpreta il suo ruolo (Luca Cupiello), che può essere definita senza ombra di dubbio disarmante.
                     


Altra commedia interpretata magistralmente dal grande napoletano di metà Novecento è Non ti pago, (1940) anch’essa un’opera leggera e divertente, tanto che il pubblico, come nel caso della commedia poc’anzi citata, non si accorge quasi del tempo che passa; esso scivola via tra una battuta e l’altra, tale per cui lo spettatore ha l’impressione di ritrovarsi in un tempo relativamente breve alla conclusione della storia: tutto merito di Eduardo. Infine, all’appello delle grandi commedie edoardiane, non può di certo mancare Napoli milionaria! (1945). Considerata uno dei capisaldi della sua produzione, l’opera narra la dissoluzione morale di una famiglia che nei vicoli di Napoli, durante la guerra, spinta dalla miseria si "arrangia", pur contro la volontà del capofamiglia, don Gennaro. Dopo l'arrivo degli Alleati la ricchezza affluisce nel vicolo, ma i milioni sono poco puliti: essi infatti vengono dallo sfruttamento, dallo strozzinaggio, dalla miseria altrui e dai furti di Amedeo, il primogenito. L'improvviso ritorno del capofamiglia, riporterà infine l'equilibrio e l'onestà nella famiglia. Il lieto fine lancia così allo spettatore un messaggio di speranza: le amarezze, le miserie della guerra, il vuoto di valori, la dignità umana calpestata, si dissolvono, lasciando così al fruitore della commedia un senso di appagamento e identificazione  al contempo.

                                    
            
Proprio per rispolverare la sua memoria e la sua illustre carriera, la nuova collana promossa da Repubblica propone otto dvd in uscita in edicola a partire dal ventisette dicembre fino al 7 febbraio 2015; con Servillo possiamo dire che siamo di fronte a un nuovo De Filippo, la cui interpretazione, però, senza nulla togliere a quella fornita dal grande napoletano dei tardi anni ’40/50, si differenzia per la recitazione più tecnica e più accademica, ma non per questo meno efficace. La differenza tra i due si può così riassumere: de Filippo era più spontaneo ed emotivo nelle sue interpretazioni, Servillo si mostra invece, come accennato in precedenza, più tecnico.
Con Eduardo lo spettatore si trova di fronte a un uomo che ha messo insieme una raffinatissima arte recitativa, mai abbandonando però la dimensione popolare della propria drammaturgia.                     
 Il pubblico che va a vedere le sue commedie, nei momenti di silenzio che precedono la sua entrata, aspetta di vederlo recitare, poi si accorge che ha già cominciato a farlo e, quando comincia le battute, ha così l’impressione che non stia recitando più. Una magia che si rivive tuttavia anche con le interpretazioni di Servillo, la cui recitazione, come accennato poc’anzi, è però meno sentimentale; in molte scene infatti il pubblico, o almeno quello più attento e spigliato, nota che al nuovo attore napoletano, pur recitando anch’egli con grande maestria, manca tuttavia quella dose di sentimentalismo, quella recitazione passionale, che era meglio resa da Edoardo.Si pensi ad esempio alla celebre scena del caffè presente in Questi fantasmi, interpretata da De Filippo con grande ardore: quasi certamente, se Servillo avesse interpretato questo ruolo, lo avrebbe reso in maniera più “intellettualistica” e accademica, e dunque meno spontanea.
L’erede del grande attore napoletano, anche se con delle differenze (di cui si è accennato in precedenza) è capace, grazie alla sua magistrale interpretazione delle opere edoardiane, di trasportare il pubblico nella Napoli popolare, nelle vicende quotidiane e nei luoghi comuni dell’epoca. Servillo, nell’interpretare le commedie edoardiane, mostra una gran stima nei suoi confronti; le sue parole ne sono infatti una conferma
   «Le sue commedie ci parlano. Nei due testi messi in scena a distanza di dieci anni, Sabato, domenica e lunedì e Le voci di dentro, ravviso le due anime di Eduardo, due anime speculari: nella prima c’è il racconto affascinante di quanto vi può essere di drammatico nella banalità (l’apparente risentimento di Rosa e Peppino Priore sulla qualità del ragù), e come in un chiasmo, nella seconda Le voci di dentro, emerge prepotente il tema di come nell’ovvio possa nascondersi qualcosa di mostruoso. Due aspetti: uno declinato nella solarità della domenica, l’altro nel buio di un antro profondo come la coscienza sporca dell’uomo, illuminato dai fuochi d’artificio profetici e amarissimi di zi’ Nicola».
Lo spettatore guardando uno spettacolo di Servillo, rivive così quell’atmosfera, quei sapori e quegli odori tipici della Napoli di metà Novecento. In Sabato, domenica e lunedì, ad esempio, nella scena del litigio tra Rosa (Anna Bonaiuto) e Peppino (Toni Servillo), il napoletano si esercita alla maniera di Eduardo in scene e controscene, anche se con un pizzico di “rigidità” in più nella recitazione rispetto al modello.
L’attore, ottenuto il premio Oscar grazie al film di Paolo Sorrentino La Grande Bellezza (2013), è stato anche in grado di avvicinare al teatro anche i meno affezionati: non si spiegherebbe in altra maniera il suo strepitoso successo teatrale, cinematografico e televisivo. Probabilmente tale apprezzamento è dovuto al sodalizio Servillo-Sorrentino, titolare anche delle due regie (teatrale e televisiva) negli otto dvd di cui si diceva. Quello che Servillo ripropone, è un vasto repertorio che va da Le voci di dentro fino a Sabato, domenica e lunedì. Nelle sue interpretazioni, non mancano infine autori come Carlo Goldoni (con la trilogia della villeggiatura) e Pierre de Marivaux.
La grandezza di de Filippo si può riassumere con una delle sue ultime dichiarazioni dell’84 al teatro greco di Taormina:

« ... è stata tutta una vita di sacrifici e di gelo! Così si fa il teatro. Così ho fatto! Ma il cuore ha tremato sempre tutte le sere! E l'ho pagato, anche stasera mi batte il cuore e continuerà a battere anche quando si sarà fermato».

                                       

                                                                                                                                    Lavinia Alberti

giovedì 15 gennaio 2015

Francesco Cafiso, talento del Jazz


In questo 2015, sarà il vittoriese Francesco Cafiso ad inaugurare la novantesima Stagione concertistica degli Amici della Musica di Palermo. L’ambasciatore della musica jazz italiana nel mondo sarà in concerto per presentare in anteprima assoluta l’album “La Banda” lunedì 19 gennaio (alle 17.15) e martedì 20 gennaio (alle 21.15) presso il Politeama Garibaldi.                                      
  Il giovane talentuoso già ben noto al pubblico da diversi anni nonostante la sua giovane età,  presenterà  - come egli stesso ha annunciato al pubblico poco prima dell’esecuzione dei brani autobiografici, che l'autore descrive come una sorta di viaggio interiore nell’universo musicale, attraverso i paesaggi della Sicilia; esso è dunque una sorta di diario della sua carriera a partire dai suoi esordi come enfant prodige all'inizio degli anni Novanta.                                                        


Con queste sue due esibizioni a Palermo, Cafiso si conferma ancora una volta per quello che è: un talento di rara maturità artistica, dotato di grande umiltà e straordinario entusiasmo creativo. Sulle note del suo jazz e sul ritmo dei suoi brani, si coglie la sua anima jazzistica e la sua profonda passione per questo strumento; a conferma della sua grandezza e umiltà è infatti una delle sue tante dichiarazioni: «la musica è infinita, non si finisce mai di imparare».                                                
    “La Banda”, compilation eseguita da Cafiso, è uno dei 3 dischi in uscita all’interno del suo nuovo lavoro discografico, il primo costituito interamente da sue composizioni originali dal titolo “3”. I tre album profondamente diversi tra loro, “Contemplation”, “La Banda ” e “20 Cents Per Note”, usciranno in contemporanea il 3 marzo e in essi vi sarà il sassofonista siciliano nelle nuove vesti di compositore, arrangiatore e concertatore, oltre che di musicista riconosciuto come uno dei talenti più precoci del jazz internazionale. E’ Cafiso stesso ad illustrare al pubblico il suo lavoro:
«L’album “La banda” è interamente dedicato alla mia Sicilia. Nel comporre questa suite mi sono ispirato alla tradizione bandistica tanto radicata nella mia terra, che ha fortemente influenzato la nascita del linguaggio jazzistico. Proprio per questo motivo ho scelto di presentarlo a Palermo con due concerti-evento, in occasione dei festeggiamenti per i primi novant’anni di attività degli Amici della Musica».



Quello che il sassofonista si propone di offrire al pubblico palermitano  - insieme al suo “Sextet” composto da Giovanni Amato (tromba), Huberto Amesquita (trombone), Mauro Schiavone (pianoforte), Giuseppe Bassi (contrabbasso) e Roberto Pistolesi (batteria) - è un progetto abbastanza ambizioso. Gli undici i brani che compongono la suite si aprono con il brano “Sicilia”, che descrive un’isola piena di contraddizioni, aspra e ingiusta con gli onesti, ma anche calda e accogliente.  
 In questa occasione il pubblico palermitano, nonostante non fosse abituato ad un repertorio jazzistico, bensì ad un repertorio più classico (compositori del classicismo e del tardo romanticismo), si è dimostrato ugualmente pronto e interessato ad accogliere con grande entusiasmo un repertorio insolito per questa sede.     
                                                                                                                                                                                                                                                                         Lavinia Alberti

martedì 13 gennaio 2015

La chitarra di Francesco Buzzurro


Il grande chitarrista di fama mondiale Francesco Buzzurro, in tour per presentare il suo nuovo progetto discografico Il Quinto Elemento, sarà ospite lunedì 16 e martedì 17 febbraio al Teatro Politeama di Palermo per la Stagione concertistica 2015 degli Amici della Musica.
L’intera composizione è formata da quattro suite – Acqua, Aria, Terra e Fuoco – in cui la musica diviene una sorta di Quinto Elemento capace di riunire la bellezza e la potenza devastante della forza della natura. Per il chitarrista-compositore è una sfida senza precedenti, in cui si intrecciano influssi latini e gitani, momenti più introspettivi e pagine di straordinario, folgorante virtuosismo.

L’album comprende 12 composizioni ispirate alla sua terra, la Sicilia, terra di sole e di bellezze naturali mai viste. Il suo stile è senz’ombra di dubbio eclettico, andando dal jazz puro ed elitario allo stile più popolare e di facile orecchiabilità. All’interno di queste quattro sezioni, Buzzurro inserisce tre brani, che sembrano fondersi perfettamente l’uno con l’altro, in totale armonia, e ciò grazie alla musicalità delle note e dell’arrangiamento, che divengono entrambi sublimi, rendendo davvero suggestivo lo spettacolo. Sin dai primi accordi lo spettatore si trova infatti avvolto, ammaliato da questi brani, che lo trasportano così in un’atmosfera davvero ricca di echi e rimandi jazzistici. Non capita spesso di vivere queste sensazioni ad un concerto; solo un grande artista come Buzzurro poteva infatti dar luogo a tutto ciò.
Volendo definire tale artista, egli, o meglio, le sue musiche sono come un’onda: coinvolgono lo spettatore a 360 gradi, facendogli vivere così determinate atmosfere magiche, come solo lui sa fare.
Per il chitarrista, suonare certi brani sulle proprie origini siciliane, rappresenta quasi una necessità; è lui stesso infatti a dirlo:
«Arriva un momento in cui un artista sente fortissima la necessità di puntare con decisione sulla propria musica originale. È senza dubbio una precisa assunzione di responsabilità che sento verso me stesso e verso chi, con costanza e grande affetto, mi segue ormai da anni. Con questi concerti mi auguro di raggiungere lo scopo per me più importante: emozionarmi per emozionare gli altri».
Il talento della chitarra gode di grande apprezzamento da parte di compositori come Ennio Morricone, che recentemente l’ha definito tra i più grandi al mondo perché capace di far fruire a tutti la musica colta; Buzzurro, unisce infatti alla passione per la musica classica una profonda ricerca nell’ambito del jazz, tant’è vero che in passato è entrato anche nell’Orchestra Jazz Siciliana e attualmente condivide il palco con mostri sacri del jazz internazionale, collaborando anche con l’Orchestra Sinfonica Siciliana e con alcuni tra i più noti esponenti del pop italiano. In passato egli è stato anche autore di colonne sonore per televisione; un esempio è la docu-fiction dei fratelli Muccino Io Ricordo e delle musiche per lo spettacolo teatrale di Gianfranco Jannuzzo Girgenti Amore Mio. Chitarrista di confine e fuori dagli schemi, rappresenta senz’altro un esempio di artista la cui dote è capace di andare oltre la pura e semplice musicalità.
Il mese di febbraio il chitarrista sarà in concerto il 21 presso il Parco Museo Jalari di Barcellona P.G. (Messina) e il 27 presso il teatro Garibaldi di Modica (Ragusa).
Un talento così, al pari di Irio De Paula e Francesco Cafiso, non poteva d’altronde essere definito diversamente dal suo produttore musicale Alfredo Lo Faro, che su di lui ha più volte detto:
“Francesco è stata una scommessa vincente per me. E’ un talento musicale impareggiabile. Ciò che fa lui con la chitarra non lo fa nessuno. Ha fatto benissimo il padre a consigliargli di non abbandonare le proprie radici musicali; il connubio che Francesco riesce a creare tra l’etnico e il jazz è incredibile, originale e geniale. Come produttore e imprenditore ho molte intuizioni, come è stato con Francesco, e come lo è per il progetto che ho realizzato con delle società farmaceutiche. A loro, ho proposto la vendita della musica, della cultura, oltre che dei farmaci. Se tutti comprassero musica e cultura, le malattie diminuirebbero e la depressione tenderebbe a scomparire”.                             
I suoi brani sono ispirati non a caso alla sua Agrigento, la terra del filosofo Empedocle che già si era cimentato con lo studio dei quattro elementi, tentando con le sue argomentazioni di giustificare, attraverso la loro continua aggregazione/disgregazione, la nostra vita stessa e la composizione dell’universo. Francesco Buzzurro ha spiegato più volte nel corso di varie interviste il motivo per cui ha scelto tale tematica:

 La musica è sempre intorno a noi, nell’aria, nelle cose, nel movimento degli esseri viventi, nel battito stesso del nostro cuore e rappresenta quel quinto elemento in più di cui nessuno può fare a meno. Pertanto ho suddiviso i brani in quattro cicli, elaborando tre momenti per ciascun elemento e – quasi del tutto spontaneamente – in ciascuno dei cicli o quasi c’è un brano che rappresenta la forza dirompente e devastante di ogni elemento, un altro che racconta uno stato di quiete riflessiva e talora malinconica, e infine ancora un altro che si manifesta dinamicamente in movimento come una sorta di imprevedibile divenire.
Il suo disco dunque, nato nel profondo del suo cuore, vuol essere non solo la traduzione in emozioni musicali delle impressioni derivanti dalla sua osservazione del mondo e da una personale auto-introspezione, ma vuol essere anche un invito a guardarci intorno con attenzione ritrovando un profondo legame con la natura, con la nostra parte più ancestrale.    
   
                                                                                                                    



                                                                                                           Lavinia Alberti
           

sabato 10 gennaio 2015

Addio a Francesco Rosi, il regista del dopoguerra

Il 2015 si apre con un lutto nel mondo della settima arte: la morte del regista Francesco Rosi.
Il regista e sceneggiatore napoletano si è spento all’età di 92 anni a Roma. Era considerato una delle più importanti figure del dopoguerra. Iniziò la sua carriera nel mondo dello spettacolo nel ’46, come assistente di Ettore Giannini e lavorò anche a fianco di Luchino Visconti per La terra trema (1948) e Senso (1953).
Negli anni successivi contribuì al successo di film, come I vinti di Michelangelo Antonioni (1953)  e Proibito (1954), di Mario Monicelli. Due anni più tardi, nel 1956, sarà co-regista, insieme a Vittorio Gassman, nel film Kean -Genio e sregolatezza.
L'anno della sua definitiva emancipazione sarà il ’58, quando realizzerà il suo primo lungometraggio La sfida, che otterrà poi il consenso della critica. L’anno successivo dirigerà uno dei grandi attori italiani: Alberto Sordi ne I magliari (1959), storia di un immigrato che, dalla Germani all'Italia, si troverà faccia a faccia con la camorra.
Il cineasta della realtà, a partire dagli anni ’60 racconterà i mutamenti della nostra società e darà vita, con uno suo stile asciutto e concreto, al primo cinema d'inchiesta.
 All’interno di questo filone, l’autore napoletano si mostra interessato all'evoluzione della società italiana, nel bene e soprattutto nel male. Ciò che più gli interessava descrivere era la denuncia della corruzione, della malavita e dell’assenza dello Stato, tratto peculiare del meridione d’Italia e non solo.
I suoi film sono ambientati in varie regioni della penisola: dal Lazio alla Campania, alla Sicilia; quest’ultimo è il caso del film Salvatore Giuliano (1962), che racconta la vita di un bandito il quale fondava la sua esistenza sul contrabbando con la complicità di un movimento indipendentista.
Un anno dopo Rosi lavorerà ad un altro capolavoro: Le mani sulla città. Esso rappresenta, forse, una dei capisaldi della sua filmografia, uno dei film più noti insieme a tanti altri; è la storia di un costruttore edile, un uomo che vive nella totale illegalità. Con questo film Rosi racconta la sua Napoli deturpata dallo sfruttamento edilizio.
Negli anni ’70 affronterà ancora temi scottanti in Uomini contro, volto a denunciare l’atrocità della guerra. In seguito girerà Il caso Mattei, Lucky Luciano (1973), film che riscosse grande successo grazie anche all’interpretazione dell’attore milanese Gian Maria Volontè.; poco dopo realizzerà anche la versione cinematografica di Cristo si è fermato ad Eboli (1979) tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Levi, sempre con Volonté protagonista.
In tempi più recenti, nel 1990, realizzerà Dimenticare Palermo, anch’esso film di denuncia sociale e di malavita, tratto dall’omonimo romanzo di Edmonde Charles-Roux,.
 Ciò che accomuna i film d’inchiesta del regista scomparso è il fatto che i suoi personaggi trasformano l’illegalità, il malaffare e l’omertà in modo di vivere, offrendo per tale ragione molteplici spunti di riflessione allo spettatore. Chi si può immedesimare e rispecchiare nei suoi film (e ci si riferisce a quelli d’inchiesta), è soprattutto il cittadino meridionale, colui che vive immerso in una realtà potenzialmente splendida e amena, ma concretamente soffocata dal degrado e dal sudiciume delle periferie, e soprattutto dalla mentalità e l’incuria di una popolazione rozza, omertosa, il cui paradosso sta nel fatto che essa sembra non patire tutto questo, vivendo come se nulla fosse (un po’ come i pesci che non si accorgono di nuotare nell’acqua torbida).



Tale tipo di società è descritta nel film precedentemente citato (Dimenticare Palermo, film dai temi molto toccanti, soprattutto per un siciliano).
I suoi film, proprio per il taglio giornalistico e d’inchiesta, descrivono una realtà nuda e cruda, spiazzano, lasciano di stucco proprio per l’estrema verità: forniscono allo spettatore un vero e proprio specchio della società.
 Come ha dichiarato Rosi stesso in una recente intervista: «fare cinema significa contrarre un impegno morale con la propria coscienza e con lo spettatore». Recentemente il regista Paolo Sorrentino ha così commentato la sua scomparsa:
«Francesco Rosi è stato uno dei più grandi registi del mondo, non solo italiani. Esistono dei registi, che sono pochissimi nel mondo, portatori di mondi che sono capaci di costruire dei mondi e lo fanno attraverso l'invenzione di metodi e di stili e Rosi era uno dei pochissimi registi che ha portato all'attenzione di tutti dei mondi».
Ciò che lo caratterizzava era una ricerca della verità senza compromessi e senza indugi, e pochi registi lo hanno fatto. Con lui se n’è andato un regista che ha dato un grande contributo non solo al cinema, ma anche al giornalismo.



                                                                                                              Lavinia Alberti