giovedì 12 marzo 2015

Le atmosfere musicali di Gianluca De Rubertis


Perché recarsi al bar della metro Lambrate di Milano l’8 maggio e, soprattutto, con quale motivazione? Semplice: l’esibizione di Gianluca de Rubertis.
Pianista leccese, classe 1976, cresciuto nella vicina Matino, de Rubertis sperimenta fin da bambino la passione per la musica, soprattutto per il pianoforte, strumento di cui s’innamora immediatamente. L’amore per il mondo dei suoni rappresenta  un tratto distintivo non solo dell’artista ma di tutta la famiglia de Rubertis: il cantautore ha infatti ereditato la passione dai genitori, entrambi poliedricamente musicofili.
                 

Gli esordi del giovane leccese sono ardui, com’è per qualsiasi artista che comincia.                         
 Spinto dall’entusiasmo e incuriosito dal mondo musicale, dopo i primi successi locali de Rubertis decide così di lanciarsi nella sfida più difficile per lui: formare un gruppo e produrre un disco. Nel 2001 insieme alla sorella Matilde, Riccardo Schirinzi e Giancarlo Belgiorno dà vita al gruppo degli Studiodavoli, punto iniziale di una serie di successi. Dopo diversi  riconoscimenti e album (Megalopolis nel 2004 e Decibels for dummies nel 2006), poco dopo fonderà il duo Il Genio insieme ad Alessandra Contini: l’originalità del duo consiste proprio in uno stile retrò e deliziosamente naif, probabilmente la componente decisiva del loro successo e che ha fatto breccia nel cuore degli ascoltatori. In pochi anni il duo ha registrato un grande apprezzamento da parte dei media, letteralmente affascinati dallo stile musicale del gruppo. Nel 2012 dal lancio della sua carriera da solista nasce invece l'album Autoritratti con oggetti, in cui de Rubertis è cantante e compositore (alla chitarra e alla tastiera).
Rispetto ai precedenti lavori (gli album degli Studiodavoli e de Il Genio) ciò che si nota nello stile compositivo di Gianluca De Rubertis è una maturazione nelle ultime composizioni, uno stile più vivido e limpido e ciò emerge soprattutto in canzoni come Io addio e Valzer della sera, entrambi contenute nel suo disco Autoritratti con oggetti; il primo è un brano scritto d’estate ma nostalgico, in cui attraverso i soli pianoforte e violino emerge un’atmosfera lunare dove ci si sveste di se stessi per poter abbandonare l’altro; il secondo è un valzer, anch’esso malinconico: uno specchio per tutti coloro che si sentono soli e avvertono lo smarrimento della vita.
Si coglie inoltre il desiderio di affrontare diversi temi, tra questi quello della solitudine e dell’amore, presentati al pubblico in maniera davvero coinvolgente grazie alle atmosfere da lui create nelle sue performances: atmosfere fatte di silenzi, di luci, di ombre e ritmi avvolgenti. Cifre costanti delle sue canzoni sono i temi sociali e sentimentali: sofferenza, dolore, perdita che trasportano l’ascoltatore nella dimensione intimista dell’artista.
Ma forse il tema veramente prediletto dal cantautore leccese è l’amore: un amore musicato, deriso, sbeffeggiato, disatteso, reso in maniera armonica grazie alla sapiente unione tra testo e metrica; il risultato è davvero gradevole e raffinato poiché alla musica classical-pop de Rubertis unisce nei suoi testi anche un lato sarcastico quando si parla di donne.
Quello di de Rubertis si presenta quindi come uno stile sui generis; egli crea mondi cantati al buio, del mistero e dell’incertezza, introdotto talora dagli accordi del piano solo, altre volte dalla chitarra. Caratteristica delle sue performances è che esse iniziano sempre con qualche luce soffusa, che va poi ulteriormente sfumando nel corso dell’esibizione fino ad ottenere un buio quasi completo. Alla fine illuminati sono solo gli strumenti necessari per la performance: le chitarre elettriche, i violini,  i soffi sospirosi dei fiati e, ovviamente, il solista che canta. Grazie al suo pianoforte, che armonizza il tutto rendendo l’atmosfera suggestiva, ecco che si crea un sodalizio tra musica, gesti e silenzi: il risultato finale per chi ascolta è un silenzio che diventa armonia e viceversa.              
Le sue sonorità sono in bilico tra le tradizioni musicali d’oltralpe e lo stile electro-pop di matrice anglosassone; potremmo dunque definire il suo uno stile classical-pop. In altre parole, quello di de Rubertis è uno stile eclettico, proprio perché si rifà un po’ ai cantautori degli anni ’80 (si pensi a Gaber), ma anche a quelli più moderni, ad esempio a Renzo Rubino (emerso sui principali palchi italiani grazie all’esibizione al Festival di Sanremo 2013), il cui stile per certi aspetti lo ricorda. I due giovani artisti presentano infatti delle affinità: l’impostazione timbrica in entrambi baritonale, lo stile compositivo, il ritmo delle canzoni e con esso il modo di accostarsi al piano.                  
Quello di de Rubertis è un approccio curioso e insolito alla musica, e perciò possiamo senz’altro annoverarlo fra le realtà più interessanti dell’attuale  panorama musicale italiano.

Il motivo per cui vale la pena andare a sentire de Rubertis è quindi duplice, formale e sostanziale: sa rendere carichi di fascino gli accordi con i tasti bianchi e neri del pianoforte, trasformando il silenzio in qualcosa di veramente suggestivo; i suoi testi poi sono spazio di riflessione, per i temi affrontati e la spigliatezza nel trattarli.                                                                                     
Tutto questo lo distingue da altri compositori “commerciali”, rendendolo unico nel suo genere.




                                                                                       Lavinia Alberti

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