domenica 27 dicembre 2015

Mandolino e pianoforte, tra romanticismo e contemporaneità


Gli ultimi giorni di dicembre si prefigurano ricchi e pieni di eventi culturali e musicali.
Tra i luoghi promotori della buona musica non può di certo mancare all’appello Cefalù, territorio madonita da sempre attivo e sensibile alla diffusione di spettacoli, aperto ad accogliere concerti di ogni genere, da quelli classici, a quelli rock fino a quelli pop.
Concentrandoci sul genere classico, un concerto da non perdere è quello in programma al Teatro Cicero di Cefalù, il 30 dicembre. Ad esibirsi saranno due valenti e giovani musicisti, Mauro Schembri, (mandolino) e Alessandro Greco (pianoforte), che saliranno sul palco del teatro in occasione dell’ultimo evento della Stagione Concertistica degli Amici della musica Cicero. Il primo diplomatosi in mandolino al Conservatorio V. Bellini di Palermo sotto la guida del Maestro Emanuele Buzi e perfezionatosi col Maestro Dorina Frati, ha all’attivo quindici Festival Internazionali con l’Associazione “Sikania” diretta da Lorenzo Puma. In passato ha anche collaborato con il Teatro Massimo di Palermo, l’Ente Filarmonica Franco Ferrara, e da solista con l’Orchestra da Camera “Salvatore Cicero” al Teatro Politeama di Palermo per la Stagione “Amici della musica”. E’ stato inoltre il secondo classificato del prestigioso concorso nazionale “Premio Abbado” nella sezione mandolino.
Attualmente fa parte del Quintetto Nomos, che sin dalla sua nascita (2011) ha riscosso un certo successo nel territorio siciliano. Il secondo invece inizia gli studi pianistici molto giovane, studiando sotto la guida del Maestro Giuseppe Lo Mauro, per poi proseguirli presso l’accademia “Clara Schumann” di Palermo con il Maestro Giuseppe Messina. Nel 2010, dopo il diploma in pianoforte al Conservatorio Santa Cecilia di Roma e dopo una serie di Master Class, ottiene a San Giovanni Teatino il Primo Premio “Franz Liszt” (2009), cui seguiranno quello di Palermo e di Catania. Attualmente è docente di pianoforte al liceo musicale e coreutico “Joan Miro” di Sant’Agata di Militello.




Il duo Schembri-Greco, ha una storia recente; esso infatti è nato nell’aprile 2015 da un’idea degli stessi musicisti in occasione di una collaborazione con l’Auditorium Rai di Palermo e il progetto GMC (giovani musicisti del Conservatorio V. Bellini di Palermo). Nonostante la sua recente formazione ha già riscontrato diversi successi, esibendosi presso numerose associazioni culturali regionali riscuotendo un grande apprezzamento.

Il programma eseguito dai due giovani prevede un ricco e composito repertorio, con un’attenzione particolare alle musiche originali per questa formazione e a quelle contemporanee: si andrà infatti dal classicismo delle composizioni di Beethoven e Hummel a quello di Calace, fino ai brani più contemporanei di Kaufmann e Chailly.

Si tratta dunque di composizioni che hanno lo scopo di mettere in luce, oltre che le qualità timbriche e sonore del pianoforte, uno strumento come il mandolino, un tempo utilizzato soprattutto in ambienti colti. L’intento dei musicisti è proprio quello di dimostrare e far comprendere al pubblico che quest’ultimo (troppo spesso associato alla cultura popolare) è anche uno strumento colto.

Quello dei due musicisti sarà dunque un vero e proprio excursus sonoro che, iniziando dallo stile classico beethoveniano, proseguendo con le musiche della scuola napoletana di Calace, e approdando alle sperimentazioni ritmiche e timbriche contemporanee di Genzmer e Chailly, sarà in grado di trasportare l’ascoltatore in un viaggio sonoro cronologico davvero suggestivo e unico nel suo genere.

  

                                                                                          Lavinia Alberti

sabato 12 dicembre 2015

C'era una volta la star del secolo


Era il 12 dicembre 1915. Esattamente un secolo fa nasceva una figura destinata a diventare una delle star più famose al mondo: Frank Sinatra.
Personalità poliedrica, cantante, attore, conduttore televisivo e radiofonico statunitense di origine italiana, noto inizialmente in America e poi in Italia a partire dall’immediato dopoguerra grazie alle sue qualità timbriche e vocali, Sinatra comincia la carriera nel mondo dello spettacolo inizialmente senza pensare al grande successo (un po’ come molti), ma nel giro di poco tempo comincia ad affermarsi sempre più divenendo una vera e propria stella del cinema e soprattutto della musica. Dopo le prime esibizioni televisive e le prime canzoni (All or Nothing at All, I’ve got you under my skin , Strangers in the night, That’s life, Fly me to the moon, My way, solo per citarne alcune), a partire dagli anni ’30 Sinatra comincia ad imporsi pian piano nel panorama musicale mondiale, per poi decollare artisticamente negli anni ’50 e terminare la sua lunga attività nella metà degli anni ’90.  Noto in Italia soprattutto come The Voice, in America e nel resto mondo era conosciuto anche con i soprannomi di Ol' Blue Eyes, Frankie, Swoonatra.

 

                           

Nell’ambito della sua lunghissima carriera cinematografica da ricordare sono senz’altro tre film girati tra gli anni ’40 e ’50 in cui l’italo-americano ha interpretato ruoli canori di un certo rilievo, girati in locali e teatri; tra questi Due marinai e una ragazza, Un giorno a New York e Facciamo il tifo insieme, per i quali gli furono conferiti importanti riconoscimenti: due premi Oscar e due Golden Globes; in questo senso si può definire un uomo dalle mille sfaccettature, tanto brillante nelle interpretazioni cinematografiche quanto in quelle musicali.



Il periodo che si può certamente definire il più prolifico per Sinatra è quello a cavallo tra gli anni ’40 e ’60; è in questa fase infatti che la voce dell’artista diviene la più popolare non solo nel mondo della settima arte ma anche della radio. Sul fronte della carriera musicale il genere con il quale l’italo-americano comincia ad essere identificato è quello dello Swing e del Jazz, il cui stile sarà destinato ad essere imitato ed emulato negli anni immediatamente successivi dai più grandi cantanti (si pensi a Teddy Reno o a Johnny Dorelli, che da Sinatra erediteranno il suo stile canoro, ossia quello del “canticchiare sussurrando” al pubblico).

È proprio intorno alla metà degli anni ’50, parallelamente alla sua rifiorita carriera cinematografica, che Sinatra registra alcuni dei suoi brani più celebri, contenuti in album come Songs for Young Lovers, che comprendeva My Funny valentine, I Get a Kick Out of You e They Can't Take That Away from Me, capolavori dei compositori Lorenz Hart, Richard Rogers, dei fratelli George e Ira Gershwin, arrangiati da Nelson Riddle, In the Wee Small Hours, del 1955, in cui erano contenuti In the We Small Hours of the Morning, Last Night When We Were Young e This Love of Mine e, nel 1956 Songs for Swingin' Lovers!, che racchiudeva la celebre I've Got You Under My Skin, You Make Me Feel So Young, Pennies from Heaven e Too Marvelous for Words.

Con 150 milioni di dischi venduti, 59 album per un totale di 2200 canzoni, Sinatra era considerato (e lo sono tutt’ora le sue canzoni) uno dei più importanti artisti musicali, colui che incarnava gli ideali del sogno americano insieme a Chuck Berry, i Beatles, i Rolling Stones, Elvis Presley.
Alla base del successo di tale artista vi erano le sue doti sceniche e canore, ma soprattutto il suo carisma e il modo con cui egli comunicava ciò che voleva trasmettere al grande pubblico. Sinatra è stato insomma, insieme a tanti altri della sua generazione, uno degli artisti più apprezzati e popolari, specie negli anni del boom economico e quelli immediatamente precedenti. Le sue canzoni ed interpretazioni hanno attraversato tante generazioni, sono entrate nella quotidianità delle nostre nonne, delle nostre mamme e sono ancora oggi in parte ascoltate da molti giovani che, nonostante siano circondati da tanta musica commerciale, nutrono ancora un grande interesse per la musica di un tempo.
In questo secolo abbiamo sì perso l’uomo, il cantante, l’attore, ma di certo non le sue canzoni che resteranno eterne.

 




                                                                                                                                                             Lavinia Alberti

venerdì 11 dicembre 2015

"In the Closet", l'app serie ideata da tre giovani palermitani


Quando si parla di web serie la maggior parte tende a pensare a un prodotto televisivo americano in varie puntate distribuito su reti locali e nazionali, o meglio a un prodotto fruibile solo in determinati contesti e luoghi, dunque vincolante al mezzo materiale: il televisore o il computer.
Il concetto di web serie nasce in epoca relativamente recente, nel 2010 circa; solo negli ultimi anni essa è andata via via migliorando i suoi format e i suoi canali distributivi, divenendo un fenomeno virale.  La novità su questo fronte è giunta proprio quest’anno. A partire da settembre, infatti, un gruppo di giovani palermitani ha deciso di innovare ulteriormente il concetto di web serie, lanciando una novità assoluta: l’app serie. Si tratta di un progetto che ha comportato la messa in gioco di creatività, sperimentazione e originalità.
 E’ così che unendo entusiasmo e passione per il racconto tre palermitani, (la Cinefila trinità, come amano definirsi) Ninni Palma (regista), Daniele Lupo (sceneggiatore) e Salvatore Allotta (post-produzione), hanno ideato una serie divisa in puntate da vedere direttamente su un’app apposita.
Il protagonista, un uomo misterioso interpretato dall’attore Davide Ruggiano, farà i conti con i segreti inconfessabili di cinque personaggi, in una trama avvincente in cui nulla è come sembra.
Andando oltre il canonico Youtube, la piattaforma per eccellenza delle web serie, offrirà agli utenti un’esperienza innovativa. Sull’app infatti saranno visibili tutte le puntate, oltre le quali saranno presenti anche contenuti extra ed interessanti approfondimenti.
“In the Closet”, questo il nome della prima app serie prodotta dai tre giovani artisti, sarà divisa in 50 episodi. Si tratta di una serie drama-thriller girata interamente in un unico ambiente.
Cifra peculiare di questi episodi saranno inconfessabili segreti che stravolgeranno le vite dei protagonisti, costruendo una trama avvincente in cui nulla è come sembra.
Con queste premesse il progetto non può che essere molto stimolante, come emerge dalle dichiarazioni degli artisti: «In una società smartphonecentrica come quella italiana abbiamo deciso di creare qualcosa che ci permettesse di entrare proprio nelle tasche degli spettatori» spiega lo sceneggiatore Daniele Lupo. «Abbiamo voluto dar vita a qualcosa di diverso. Ogni utente potrà avere sempre con sé l’app serie e potrà decidere quando vederla e fruire di contenuti inediti in una nuova forma» continua il regista Ninni Palma. L’app serie sarà disponibile dai primi giorni di dicembre in modo totalmente gratuito.


           
                                                                                                             Lavinia Alberti

lunedì 2 novembre 2015

Quarant'anni senza l'intellettuale corsaro



2 novembre 1975: sono già passati 40 anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini, scrittore, poeta, sceneggiatore, regista, autore che può essere considerato senza dubbio uno degli intellettuali più controversi nel panorama culturale italiano.
Accostandosi a questa figura, ciò che non si può fare a meno di notare sono l’ “ingenuità” e la sensibilità con cui egli si accostava al mondo; cifra peculiare del poeta era infatti il porsi dalla parte dei più umili e delle classi più disagiate, dei “diversi”, cui certamente egli riservava proprio per il tormentato vissuto personale tutta la sua solidarietà. Non è un caso dunque se egli si poneva dalla parte di questi ultimi; il sottoproletariato infatti rappresentava per il poeta friulano l’unica classe che ancora manteneva una propria spontaneità e genuinità, al contrario della classe borghese che egli criticava aspramente, e ciò si coglie molto bene sia nei suoi film, che nei suoi testi poetici e letterari. Marxista politicamente e socialmente impegnato, Pasolini aveva fatto della lotta al consumismo e alle ipocrisie borghesi una vera e propria missione.


Si può certamente affermare che con Pasolini l’Italia ha perso 40 anni fa non solo un pezzo di storia ma il contributo delle sue idee di intellettuale poliedrico ed eclettico.
In questi giorni molti sono stati i luoghi della cultura (e soprattutto i teatri romani) che hanno reso omaggio al poeta, raccontando la vita di questo straordinario personaggio del cinema e della cultura del ‘900. La sua personalità di acuto osservatore e per certi versi anche anticipatore del nostro presente è stata ricordata dai principali teatri romani come l’Argentina e il teatro India di Roma che hanno reso omaggio al poeta con diverse rassegne. Il teatro India per l’occasione ha dato vita alla rassegna “Il Teatro di Roma per Pasolini”.



Ad aprire l’omaggio romano sarà la voce recitante di Giovanna Marini, amica intima del poeta, con Sono Pasolini, un moderno oratorio che celebra la ricchezza della poesia e del pensiero pasoliniani. Lo spettacolo è
uno dei tasselli del progetto “Il Teatro di Roma per Pasolini” che si compone di sette titoli. A seguire vi sarà L’inedita partita di pallone Pier Paolo! di Giorgio Barberio Corsetti, “giocata” nel campo di Pietralata a Roma (31 ottobre e 1 novembre), una produzione Fattore K.
Giorni intensi questi che hanno visto una vera e propria maratona letteraria; saranno lette poesie, frammenti di raccolte inedite da personaggi che hanno vissuto a fianco del poeta: si andrà da Bernardo Bertolucci a Ninetto Davoli. Per l’occasione all’esterno dei centri saranno allestite delle performances di Street art.

A 40 anni di distanza si sente la mancanza di Pasolini, l’intellettuale inascoltato e poi come spesso accade “santificato” alla morte. Se si è perso l’uomo, di certo non si sono perse le sue idee anticonformista. Il regista friulano, o meglio, il suo pensiero, le sue poesie hanno rappresentato e rappresentano ancora oggi a 40 anni di distanza un punto di riferimento, una speranza per molti giovani.
                                                                                                                                                                                             Lavinia Alberti

mercoledì 16 settembre 2015

La Settimana Alfonsiana a Palermo


Dal 19 al 27 Settembre a Palermo si svolgerà la “Settimana Alfonsiana”, giunta quest’anno alla XXI edizione. L’evento di cui la Run (Rete  Universitaria Nazionale) di Palermo è da anni promotrice, quest’anno si svolgerà attorno al tema: Mentr’erano a mensa Gesù disse: “Uno di voi mi tradirà. Uno che mangia con me”. Gli dicevano uno dopo l’altro: “Sono forse io?”. (Marco 14, 18-19).          
Proprio a partire dal significato - attuale e storico - di tale espressione evangelica, si confronteranno studiosi, teologi, sacerdoti, magistrati, giornalisti, registi, scrittori e docenti universitari.
 
Questi otto giorni, organizzati dai Padri Redentoristi di Palermo e dalla rivista culturale “Segno” in onore di Sant’Alfonso dei Liguori, si prefigurano molto intensi e ricchi di confronti, i cui temi saranno riletti in chiave laica. Si tratta dunque di un evento unico nel suo genere, non solo per la natura dei dibattiti, ma anche per le personalità presenti, per l’occasione provenienti come già detto dal mondo giuridico, economico, teologico e dello spettacolo; a rendere questi giorni ancora più interessanti e coinvolgenti saranno inoltre i diversi musicisti che si esibiranno, molti dei quali noti in tutta Italia e non solo. La sede principale dove avverranno le discussioni culturali sarà in via Badia 52, con ulteriori appendici al Conservatorio V. Bellini in via Squarcialupo e all’Oratorio di Santa Cita in via Valverde.
 
Il giorno d’apertura nella Sala Scarlatti del Conservatorio V. Bellini si esibirà sotto la direzione del Maestro Giuseppe Palma la Balarm Sax Orchestra (ore 21); il giorno seguente saranno presenti invece i Padri Redentoristi che apriranno il dibattito teologico e, sempre alle ore 21, si esibiranno Gli Archi Ensemble. Lunedì 21 (ore 17), invece, sarà la volta di Nino Fasullo (direttore della rivista “Segno”), Salvatore Ferlita (Università Kore di Enna), Serafino Fiore (superiore provinciale dei “Redentoristi”), Roberto Lagalla (rettore dell’Università di Palermo), Leoluca Orlando (sindaco di Palermo) e Gianni Vattimo (Università di Torino), che proporranno degli interessanti spunti di riflessione a partire dal passo della Bibbia sopra citato. Nel pomeriggio di martedì 22 la sede di via Badia avrà l’onore di accogliere Giancarlo Gaeta (Università di Firenze), Simona Forti (Università di Torino) e Gianfranco Perriera, regista noto soprattutto nell’ambiente teatrale e cinematografico palermitano. Il giorno seguente invece saranno presenti Guido Corso (Università di Roma), il giornalista e scrittore Raniero La Valle e Paolo Ricca (Facoltà teologica valdese di Roma).

 
 


Nei giorni centrali dell’evento non mancheranno musiche appartenenti al repertorio colto: verranno eseguite l’Overture I e II della Carmen di Bizet, il Bolero di Ravel, e le musiche di Patrick di Geiss.; dell'omonimo film Pirati dei Caraibi verrà inoltre eseguita la colonna sonora. Sempre nello stesso giorno è previsto un arrangiamento fatto da Giovanni Di Giandomenico del celebre "Tu scendi dalle stelle" in originale lingua napoletana scritta da S. Alfonso; questa performance vedrà coinvolto per l'esecuzione il soprano Federica Maggi con un accompagnamento al pianoforte del sopracitato Di Giandomenico.
Giovedì 24 si uniranno al dibattito Marcello Flores (Università di Siena), Giorgio Jossa (Università di Napoli) e Maria Concetta Sala, docente e filosofa; il pomeriggio seguente, interverranno invece Massimo Cacciari (Università San Raffaele di Milano), Rita Fulco (Università di Messina) e Giuseppe Pignatone (Procuratore Capo della Repubblica di Roma). Il penultimo giorno  interverrà anche Romano Prodi  sul tema “La politica mondiale e il Mediterraneo”.
 Nel giorno che chiude la Settimana, alle ore 21, si esibirà l’Orchestra Alfonsiana, composta da soli sassofoni, dal sopranino al basso. Nata e ideata dal Maestro Palma, docente di sax presso lo stesso Conservatorio Bellini, l'orchestra è composta da allievi ed ex allievi di sax e comprende anche quattro percussionisti. Tra i repertori sarà eseguito anche il Concerto vivaldiano Op.3 n.8 a due violini, eseguito dai due sassofonisti Ignazio Calderone e Nicola Mogavero.                         
Nell’insieme questi giorni non potranno che essere di grande stimolo culturale. Si tratta infatti di un evento che ogni anno fornisce degli spunti e degli stimoli sempre nuovi, non solo sul piano teologico e sociale, ma anche su quello musicale.


Lavinia Alberti

domenica 30 agosto 2015

Gratteri dà il via al Festival della musica classica


Anche quest’anno a Gratteri si svolgerà il Festival della musica antica, nonostante questo sia un periodo molto difficile per la cultura (musicale) a causa dei tagli, soprattutto in Sicilia.
Il Festival, giunto alla Nona edizione, riguarderà i giorni del 3 e 5 Settembre; si tratta di una iniziativa che si è potuta realizzare grazie all’Associazione MusicaMente, al Comune di Gratteri e al patrocinio dell’Assessorato regionale al Turismo. Nonostante inizialmente ci siano state delle perplessità  riguardo all’avvio della rassegna, fortunatamente è prevalsa la voglia di far conoscere non solo la bellezza dei repertori classici (barocchi nello specifico), ma anche del territorio madonita. Scopo di questo  Festival è dunque quello di unire i due aspetti: la musica di qualità e la promozione dei luoghi madoniti, troppo spesso trascurati o addirittura ignorati dai più.
Si tratta di un’iniziativa che si è andata consolidando sempre più nel corso degli anni, e che per questo appartiene ormai al patrimonio culturale della città di Gratteri e della Sicilia; alla base di tale successo vi è la qualità dei concerti e dei musicisti, molti dei quali provenienti da tutta Europa.
Quest’anno (in forma ridotta) il Festival sarà articolato in due serate e vedrà la partecipazione di artisti siciliani pluripremiati in vari concorsi internazionali.
 
 
                          
 
 
La serata di apertura del concerto, che inizierà alle ore 21.15, avrà luogo nella Chiesa di Santa Maria di Gesù; ad esibirsi sarà l’Arianna Art Ensemble, in un concerto organizzato dall’Associazione Amici della Musica Salvatore Cicero di Cefalù. In questa occasione saranno presenti tre eccellenti solisti specialisti in questo repertorio: Ottavio Brucato (flauto dolce) Alessandro Nasello (flauto dolce e fagotto) e Cinzia Guarino (clavicembalo). Gli artisti, di rinomata fama europea, proporranno un programma molto impegnativo dal titolo Alla Maniera Italiana, che si articola su brani di repertorio italiano del primo e tardo Barocco. Per l’occasione verranno eseguite le musiche dei più celebri compositori barocchi: da quelle di Antonio Vivaldi a quelle di Benedetto Marcello, da quelle di Marco Uccellini a quelle di Telemann. Per concludere la serata d’esordio, il trio eseguirà la suggestiva Toccata VII di G. Frescobaldi e la brillante Sonata K 517 di D. Scarlatti per clavicembalo solo.
Il 5 Settembre la serata sarà invece dedicata a Giacomo Casanova con lo spettacolo: Mio caro Casanova...Lettere d'amore e di amicizia, con musiche di Vivaldi, Anonimi veneziani, Hasse, eseguite da Francesco Colletti e Federico Brigantino ai violini, Paolo Rigano all’arciliuto e Cinzia Guarino al clavicembalo.
 
Nel corso di quest’ultima serata si esibiranno anche le due attrici Silvia Di Giovanna e Fabiola Arculeo che interpreteranno otto delle molteplici autrici delle epistole, alcune delle quali lasciate volutamente piene di errori ortografici, sgrammaticate o traslate direttamente dal dialetto, per non alterarne l’autenticità.
 
Grande ruolo nello spettacolo avrà la musica di Vivaldi, Anonimi veneziani e Hasse, allo scopo di rivivere l’atmosfera settecentesca. Con queste premesse la rassegna non potrà che riscontrare un enorme successo.
 
                                                                                                              Lavinia Alberti

sabato 25 luglio 2015

Il Jazz di Bollani


Stefano Bollani, classe 1972, può essere definito insieme ad altri talentuosi artisti della sua generazione (Paolo Fresu, Stefano Di Battista) una vera e propria star del jazz. Il mago della tastiera, come più volte è stato definito, si esibirà nei mesi di luglio, agosto e settembre nelle varie città d’Italia, nella dimensione del “Piano Solo”, modo in cui il musicista sa esprimere meglio il suo talento.
Approcciatosi per la prima volta al piano all’età di sei anni, Bollani muove i suoi primi passi nel mondo musicale del jazz alla fine degli anni ‘80, per affermarsi in toto a metà anni ‘90. Sin dai primi anni della sua attività collabora con talenti del mondo jazzistico e non solo, si pensi a Gato Barbieri, famoso per il suo sax, a Richard Galliano, a Giovanni Sollima, e ancora a Enrico Rava, il cui sodalizio artistico cominciò nel 1996.

                               

Il suo stile è davvero particolare, come lo è il suo modo di approcciarsi al piano: sembra quasi che il musicista non si limiti solo a suonare il suo repertorio, ma che interpreti la parte del suonatore di jazz, immedesimandosi come un attore. In fondo che cos’è un musicista se non colui che, come un attore, interpreta il repertorio in maniera del tutto personale ed intima, calandosi totalmente in ciò che sta facendo suo?


In effetti Bollani fa tutto ciò, e lo fa forse in maniera ancora più evidente degli altri compositori. Cifra costante del musicista è infatti questo rapporto privilegiato con la tastiera, questo gioco a due, del quale sembra anche compiacersi. Quasi tutte, per non dire tutte le sue esibizioni, prevedono una sorta di messa in scena delle sue performance; queste ultime sono caratterizzate infatti da un vero e proprio studio mimico-gestuale oltre che compositivo, che lo vedono prima sedersi di fronte al piano pronto per esibirsi, poi iniziare il suo repertorio, interrompere per dei secondi piegato in avanti sul piano, per poi riprendere nuovamente; il pubblico lo sa, fa parte del suo stile, e forse è anche per questo che ha così tanto seguito (oltre ovviamente che per il suo talento).
Sembra quasi che con questi suoi giochi mimico-musicali non solo consideri il lato ludico dell’esibizione, se così si può dire, ma tenga sospesi gli spettatori, aumentando così la suspence e le emozioni ad essa connesse. Nelle esibizioni con il piano solo, prevale un Bollani eclettico, che mescola spesso stili e epoche musicali, “iperattivo” musicalmente: un vero e proprio prestigiatore della tastiera il cui scopo sembra quello di mostrare il suo virtuosismo e al contempo intrattenere il suo pubblico. Come si diceva prima, egli si comporta proprio come gli attori e gli artisti in generale: incanta con la sua abilità la platea, ed è per questo che il pubblico ogni volta sceglie di premiarlo con una partecipazione e coinvolgimento sempre maggiori.
Bollani dunque può senza dubbio essere considerato uno dei jazzisti più importanti nel panorama odierno, il corrispettivo italiano di jazzisti del passato come gli statunitensi Thelonious Monk, Bud Powell e John Lewis.
Questi gli appuntamenti:
Milano – 16 luglio, MiTo Teatro degli Arcimboldi, Viale dell’innovazione, ore 21
Roma – 19 luglio, Auditorium Parco della musica, Viale Pietro de Coubertin, ore 21
Udine – 20 luglio, Castello, Piazzale del Castello, ore 21.30
Palermo 12 agosto, Teatro della Verdura, Viale del Fante, ore 21.30


                                                                                                        Lavinia Alberti

domenica 28 giugno 2015

Un mito durato cinquant'anni


Era il lontano 28 giugno 1965. Esattamente mezzo secolo fa nasceva la band destinata a diventare una delle più popolari al mondo: quella dei Beatles. Il gruppo nasce ufficialmente nel ‘62, ma è con le esibizioni successive che avviene il loro exploit. Dopo un lungo tour nelle varie parti d’Europa, passando da Amburgo, a Stoccolma, fino alla città australiana di Melbourne, i ragazzi di Liverpool in quei giorni approdarono in Italia lanciando il loro primo singolo "Love Me Do". I favolosi quattro, ‎John Lennon, ‎George Harrison, ‎Paul Mcartney e Ringo Starr, proprio tra il 24 e il 28 giugno suonarono davanti a migliaia di persone al Velodromo Vigorelli di Milano. Non sapevano ancora che quel primo disco, attirando le ragazzine e i giovani dell’epoca sarebbe entrato nella storia del rock.
 

 
 
I primi passi della band nel mondo musicale del rock e nella Londra degli anni ’60 non furono eccessivamente fortunati, anzi, a dire il vero, tutt’altro; i londinesi pensavano infatti che si trattasse di uno dei tanti gruppi dell’epoca. Inizialmente il quartetto rock si esibì nei locali notturni di Londra, e in particolare in un locale della Mathew Street, il Cavern Club, e nei dintorni della città attirando qualche decina di persone; con la loro grinta e disinvoltura sul palco, pian piano i Beatles cominciarono a riscontrare sempre più successo grazie anche all’orecchiabilità delle loro canzoni, a uno stile sempre più coinvolgente e seducente e al loro look da ragazzi “alla moda”.
 
 Come ogni gruppo determinato e di talento tuttavia ci vollero mesi, anzi, anni prima che diventassero quello che rappresentano oggi.
 
Inizialmente il loro successo fu dovuto anche al fatto che durante le loro esibizioni non avevano in mente una scaletta, un numero preciso di canzoni da suonare, un ordine con cui eseguire il loro repertorio. Durante ogni concerto, tra un brano e un altro la band era solita fare delle battute di spirito improvvisate, sulla base di ciò che accadeva intorno a loro: fu proprio questo elemento di imprevedibilità ad attirare la gente e a trascinare le folle.
 

 Cifra costante dei Beatles era il loro carattere ironico e, come già detto, l’imprevedibilità, tant’è vero che spesso cambiavano le parole e gli accordi a loro piacimento. Ciò da cui fu colpito il pubblico, fu anche la straordinaria capacità di Paul alla chitarra, la sua memoria, dato che ricordava alla perfezione i testi delle canzoni che eseguiva. In seguito, con le apparizioni televisive negli show musicali, e grazie alla loro immagine innovativa, alla pettinatura, ai vestiti, i Beatles conquistarono subito un vasto seguito tra gli adolescenti inglesi e non solo. Nel giro di poco tempo richiamarono col loro talento un vasto pubblico formato in gran parte da frenetiche ed entusiaste ammiratrici.
 
Man mano che passarono gli anni il successo dei Fab Four diventò sempre maggiore. Riuscirono a coinvolgere tutti indistintamente, non solo l’elite londinese; grazie alla loro musica martellante, al loro nuovo aspetto estetico, originale per quei tempi, divennero dei veri e propri idoli del genere musicale e delle icone destinate a rimanere impresse nelle menti e nelle vite di tutti, non solo nella generazione che ai tempi era poco più che adolescente. L'aura che circondava queste icone, fece nascere una vera e propria Beatlemania, il cui acme durò dieci anni, dal ’60 al ’70.
 
Il fenomeno dei Beatles fu nel giro di poco tempo al centro delle attenzioni mediatiche, colpendo indistintamente giovani e meno giovani, addetti ai lavori e non. A proposito di ciò William Mann, giornalista del Times così commentò il loro successo: «I compositori inglesi più straordinari del 1963 sono, a tutti gli effetti, John Lennon e Paul McCartney [... ] le settime maggiori e le none si integrano così bene nelle loro canzoni da far pensare che armonia e melodia nascano insieme ».
 
Il loro punto di forza era il ritornello, una linea melodica semplice e piacevole, (fatto di basso, batteria e due chitarre); nella loro band non c’era una gerarchia, proprio perché tutti e quattro i componenti del gruppo sapevano cantare. Altro elemento che caratterizzava i Beatles, era il fatto che erano giovani che comunicavano, oltre che con la loro musica, con le loro espressioni e la loro gestualità una vitalità ed energia in grado di trascinare emotivamente. I Beatles hanno rappresentato dunque non solo un punto di riferimento musicale per le generazioni del passato e attuali, ma un punto di riferimento in senso lato, avendo influenzato anche abitudini, look e comportamenti.
 
Chi avrebbe mai immaginato che quelli sarebbero stati giorni decisivi per il successo dei Beatles e che avrebbero cambiato le loro vite. Ancora oggi essi rappresentano una leggenda, un mito, il cui repertorio è destinato ad essere ascoltato per almeno altri cinquant’anni.   

 



                                                                                                      Lavinia Alberti





                                                                                                                                                                                                                                                                             

lunedì 18 maggio 2015

L'eterna giovinezza

 
Dopo La grande bellezza (2013), film col quale Sorrentino si è portato a casa un Oscar, questa volta il regista napoletano ha scelto di portare sul grande schermo un film diverso ma che per certi aspetti lo può ricordare, Youth.
Passando dalle terrazze romane del precedente film agli ambienti alpini svizzeri, questa volta il regista  sceglie di trattare un tema più “scomodo” e di difficile trattazione, poiché il nuovo film tratta della vecchiaia e del tempo che passa. In realtà non c’è solo questo ma molto altro. Sì, perché il regista tratta temi per certi aspetti speculari: la vecchiaia e la giovinezza, l’amore e la morte, l’apatia e il desiderio, il piacere e la sofferenza. Il tema direttamente correlato ad essi, o meglio, il filo sottile che lega tutti questi è lo scorrere del tempo, tema caro al regista, che lui stesso ha definito quasi un’ossessione; a tal proposito ha detto infatti che esso «E’ l’unico soggetto possibile, l’unica cosa che ci interessa veramente, quanto ne passa e quanto ce ne rimane. Ma a qualsiasi età se si riesce a mantenere uno sguardo sul futuro si può essere giovani. Per questo è un film molto ottimista». Sorrentino ci mostra diverse sfaccettature e declinazioni non solo della sofferenza, ma anche e soprattutto della giovinezza: c’è quella della figlia del protagonista, psicologicamente distrutta perché appena lasciata dal marito, quella idealizzata di Miss Universo, quella spaesata che esprime un giovane attore, infine quella rimpianta da parte dei due amici.
 
Protagonisti del film sono Fred e Mick, due amici di vecchia data, rispettivamente un musicista e un regista che ormai ottantenni decidono di passare un breve periodo della loro vita in un lussuoso hotel ai piedi delle Alpi. Entrambi affermati nel loro campo si raccontano le proprie paure e ansie ma anche i propri desideri e progetti, soprattutto il regista, che annuncia a Fred l’idea di girare il suo prossimo film.
Il film inizia in medias res, descrivendo le varie altre attività che avvengono all’interno dell’hotel; le immagini iniziali coinvolgono sinesteticamente lo spettatore, come in un sogno, tanto che non ci si accorge quasi dell’inizio.
 Di certo non è nuova neanche l’idea di ambientare l’intero film in un hotel: già Resnais  in L’anno scorso a Marienbad aveva ambientato il proprio film in un lussuoso e asettico hotel, Kubrick aveva fatto altrettanto in Shining, e ancora Fellini in Otto e mezzo, il cui riferimento in questo caso è molto esplicito (proprio per le scene ambientate nelle terme, per l’idea del regista che non riesce a girare il suo film, e le atmosfere festive). Un altro modello di riferimento, anche se di non immediata associazione, sembra essere Bergman che ne Il posto delle fragole, benché in maniera più spartana sia dal punto di vista della scenografia che da quello musicale, aveva affrontato il tema della vecchiaia e del tempo che passa.
 
 
                  
 
La figura di Fred, magistralmente interpretata da Michael Cane, è ben resa; soprattutto lo sono le intensioni psicologiche ed emotive, il modo in cui caratterizza i suoi stati d’animo: apatia, rassegnazione all’inizio, ma anche fiducia e amore per la vita in un secondo momento. Il suo è un personaggio molto profondo: in preda ai pensieri e ai continui tormenti, sembra quasi isolarsi in un mondo fuori dalla realtà in cui non gli manca nulla apparentemente ma in realtà percepisce un vuoto interiore, di senso; all’apparenza sembra sia solo un po’ apatico, come viene definito più volte dalla figlia che lo accusa continuamente di essere stato sempre assente dalla sua famiglia pensando solo e soltanto al suo mondo: la musica. In realtà egli, benché abbia un amico, vive perennemente proiettato all’indietro, ricordando la moglie che ha lasciato in lui un vuoto incolmabile.
 
                                        
 
 
Nel corso del film, sembra quasi che il protagonista non viva più il presente ma che rimanga ancorato a un passato che non ritornerà mai più. A conferma di ciò vi è il fatto che i dialoghi con l’amico-regista e i suoi stessi pensieri non sembrano mai riferirsi alla contemporaneità, ma solo al passato.
Se la prima parte può risultare un po’ lenta e coinvolgere poco lo spettatore (almeno a una visione superficiale e poco attenta), la seconda sembra invece recuperare un po’ l’attenzione di quest’ultimo. Nel corso del film un ruolo importante che non va di certo sottovalutato è affidato alla colonna sonora, che contribuisce a far comprendere meglio il messaggio filmico e a coinvolgere emotivamente il fruitore.
Per Sorrentino quello del commento musicale è un ruolo importantissimo, e per questo diviene cifra costante del suo cinema; è un elemento imprescindibile e ineludibile senza il quale verrebbe meno il significato, o quasi, dell’intera opera. Non a caso anche nel precedente film la musica aveva svolto un ruolo fondamentale; se tuttavia ne La Grande bellezza essa aveva la funzione di rendere meglio la decadenza della società romana, in questo caso, specie nella parte finale, essa assume una funzione più intimistica: far comprendere i diversi stati d’animo che il musicista vive.
Con Youth Sorrentino vuole certo dirci che nonostante il tempo che passa e la vecchiaia che incombe, si può sempre ricominciare a vivere, cambiare prospettiva e approccio di fronte a ciò che ci circonda. Le parole del regista a questo proposito sono illuminanti: «è un film molto personale, intimo, scritto e pensato in poco tempo. Il mio messaggio è semplice: con il passato non si è liberi perché è andato, con il presente lo si è poco, ma il futuro, anche se breve, è la più grande prospettiva di libertà che abbiamo». In altre parole ciò che vuole dire è che solo avendo sempre occhi nuovi, curiosità verso ciò che ci circonda saremo sempre giovani.

                                                                                                                                                                                                 Lavinia Alberti

lunedì 13 aprile 2015

Mia madre


Dopo Habemus Papam uscito nelle sale cinematografiche nel 2011, film sulla crisi sociale e personale di un uomo candidato a diventare Papa (interpretato da Michel Piccoli), questa volta Nanni Moretti con Mia Madre (12esimo lungometraggio), sceglie di portare sul grande schermo una storia di dolore e di perdita: una storia fatta solo di sentimenti veri.
In passato Moretti aveva già trattato tematiche simili, di dolore struggente, si pensi a La stanza del figlio (2001) o a Caos calmo (2008), ma questa volta unisce a tali tematiche un valore aggiunto, proprio perché si tratta di una vicenda autobiografica; il regista infatti nel 2011 (proprio durante le riprese del suo precedente film) aveva perso la madre, ed è proprio quello che succede alla sua protagonista, Margherita, una regista che sta girando un film su degli operai di fabbrica che perdono il lavoro.


Ad interpretare il ruolo della protagonista è Margherita Buy, come sempre di eccezionale bravura, il cui ruolo sembra tagliato apposta per lei. Nel film interpreta la parte della regista, una donna arrogante, sempre scontrosa con chi le sta accanto e che senza rendersene conto respinge chi la circonda. E’ un personaggio che come ha detto lo stesso Nanni Moretti, rappresenta il suo alter ego, solo con qualche differenza: lei è un po’ più nevrotica e incostante. Margherita vive infatti una drammatica situazione: la malattia della madre, una ex insegnante di latino, molto amata dai suoi ex allievi, che la definiscono una figura materna. Il ruolo di quest’ultima è affidato a Giulia Lazzarini, attrice di grande esperienza, che riesce anche lei nel corso del film a far calare lo spettatore nel dramma che sta vivendo.
A vivere con lei questa drammatica vicenda è il fratello Giovanni, il cui ruolo è impersonato dallo stesso Moretti, la cui figura non è così ben delineata come quella della sorella. Il film è un continuo descrivere la vita che conduce Margherita e quella della madre in ospedale: un pendolo tra la vita (quella di Margherita e Giovanni) e la morte (quella della madre). Ben giocata è poi questa continua alternanza tra scene drammatiche e comiche, queste ultime affidate all’abilissimo John Turturro.
In tutto il film la madre è sempre al centro di tutto, anche quando questa non è inquadrata fisicamente dalla telecamera, poiché vi sono continui richiami ad essa (oggetti, ricordi e discorsi  legati a lei); è dunque una figura onnipresente, che riempie le vite dei figli, che scandisce ogni singola ora del giorno.
La regia di Moretti coglie abilmente ogni piccola sfumatura dei personaggi, ne coglie le ansie e le angosce, soprattutto quelle di Margherita, che durante le riprese del film pensa costantemente alla madre in ospedale e alle sue sofferenze.
Moretti ancora una volta ci consegna un film dalle tematiche molto forti, struggenti. Merito dell’atmosfera che si crea in sala sin dall’inizio del film è di Margherita Buy, che col suo modo di recitare così spontaneo e immediato è riuscita a rendere compartecipe lo spettatore di questo dolore, di questa inquietudine interiore. Il suo personaggio, non era certo semplice da interpretare proprio per il lavoro di immedesimazione nel ruolo: quello di una figlia che perde la propria madre che se ne va lentamente e silenziosamente.

Ci sono poi diversi momenti del film particolarmente toccanti, in cui difficilmente si trattiene la commozione; ciò è dovuto anche al fatto che si tratta di una storia in cui ognuno di noi per motivi personali si può rispecchiare.
Un ruolo altrettanto importante è affidato poi alla colonna sonora, fatta di parti strumentali e di brani cantati; si va infatti dalle musiche di Jarvis Coker a quelle di Philip Glass fino a quelle di Arvo Part, (ad esempio Cantus in memory di Benjamin Britten e Tabula rasa, queste ultime usate da Moretti come elemento di congiunzione fra la realtà e i momenti di sogno o di ricordo.
Per Moretti girare questo film sulla madre non è stato affatto facile; è stato lui stesso a dirlo:
“Di solito faccio passare parecchio tempo tra un film e l’altro. Ho bisogno di lasciarmi alle spalle l’investimento psicologico, emotivo del film appena fatto. Ci metto sempre un bel po’ di tempo per ricaricarmi. Stavolta invece, appena uscito Habemus Papam, ho cominciato subito a pensare a Mia madre. Ho iniziato a scrivere quando nella mia vita erano appena successe le cose che poi ho raccontato nel film. Dopo la prima stesura della sceneggiatura, sono andato a rileggermi i miei diari scritti durante la malattia di mia madre perché immaginavo che quei dialoghi, quelle battute, avrebbero potuto aggiungere peso e verità alle scene tra Margherita e la madre. Ecco, rileggere quei quaderni è stato doloroso”.
Le due figure delineate da Moretti sono dunque antitetiche: quella di Margherita rappresenta l’immagine della donna apparentemente forte e aggressiva, ma in realtà fragile e confusa che alla fine sceglie di andare avanti nonostante tutto; dall’altro fronte c’è Giovanni che invece, non reggendo la difficile situazione sceglie di abbandonare il lavoro che aveva.
Mia madre è dunque un film che porta sullo schermo tantissimi temi e sentimenti: la solitudine, la vita, la morte, la paura di rimanere soli, l’angoscia e la paura del vuoto. Un film che riporta ai veri valori della vita: l’amore per le persone che amiamo, così come sono, fino alla fine.


                                                                                                         Lavinia Alberti