lunedì 13 aprile 2015

Mia madre


Dopo Habemus Papam uscito nelle sale cinematografiche nel 2011, film sulla crisi sociale e personale di un uomo candidato a diventare Papa (interpretato da Michel Piccoli), questa volta Nanni Moretti con Mia Madre (12esimo lungometraggio), sceglie di portare sul grande schermo una storia di dolore e di perdita: una storia fatta solo di sentimenti veri.
In passato Moretti aveva già trattato tematiche simili, di dolore struggente, si pensi a La stanza del figlio (2001) o a Caos calmo (2008), ma questa volta unisce a tali tematiche un valore aggiunto, proprio perché si tratta di una vicenda autobiografica; il regista infatti nel 2011 (proprio durante le riprese del suo precedente film) aveva perso la madre, ed è proprio quello che succede alla sua protagonista, Margherita, una regista che sta girando un film su degli operai di fabbrica che perdono il lavoro.


Ad interpretare il ruolo della protagonista è Margherita Buy, come sempre di eccezionale bravura, il cui ruolo sembra tagliato apposta per lei. Nel film interpreta la parte della regista, una donna arrogante, sempre scontrosa con chi le sta accanto e che senza rendersene conto respinge chi la circonda. E’ un personaggio che come ha detto lo stesso Nanni Moretti, rappresenta il suo alter ego, solo con qualche differenza: lei è un po’ più nevrotica e incostante. Margherita vive infatti una drammatica situazione: la malattia della madre, una ex insegnante di latino, molto amata dai suoi ex allievi, che la definiscono una figura materna. Il ruolo di quest’ultima è affidato a Giulia Lazzarini, attrice di grande esperienza, che riesce anche lei nel corso del film a far calare lo spettatore nel dramma che sta vivendo.
A vivere con lei questa drammatica vicenda è il fratello Giovanni, il cui ruolo è impersonato dallo stesso Moretti, la cui figura non è così ben delineata come quella della sorella. Il film è un continuo descrivere la vita che conduce Margherita e quella della madre in ospedale: un pendolo tra la vita (quella di Margherita e Giovanni) e la morte (quella della madre). Ben giocata è poi questa continua alternanza tra scene drammatiche e comiche, queste ultime affidate all’abilissimo John Turturro.
In tutto il film la madre è sempre al centro di tutto, anche quando questa non è inquadrata fisicamente dalla telecamera, poiché vi sono continui richiami ad essa (oggetti, ricordi e discorsi  legati a lei); è dunque una figura onnipresente, che riempie le vite dei figli, che scandisce ogni singola ora del giorno.
La regia di Moretti coglie abilmente ogni piccola sfumatura dei personaggi, ne coglie le ansie e le angosce, soprattutto quelle di Margherita, che durante le riprese del film pensa costantemente alla madre in ospedale e alle sue sofferenze.
Moretti ancora una volta ci consegna un film dalle tematiche molto forti, struggenti. Merito dell’atmosfera che si crea in sala sin dall’inizio del film è di Margherita Buy, che col suo modo di recitare così spontaneo e immediato è riuscita a rendere compartecipe lo spettatore di questo dolore, di questa inquietudine interiore. Il suo personaggio, non era certo semplice da interpretare proprio per il lavoro di immedesimazione nel ruolo: quello di una figlia che perde la propria madre che se ne va lentamente e silenziosamente.

Ci sono poi diversi momenti del film particolarmente toccanti, in cui difficilmente si trattiene la commozione; ciò è dovuto anche al fatto che si tratta di una storia in cui ognuno di noi per motivi personali si può rispecchiare.
Un ruolo altrettanto importante è affidato poi alla colonna sonora, fatta di parti strumentali e di brani cantati; si va infatti dalle musiche di Jarvis Coker a quelle di Philip Glass fino a quelle di Arvo Part, (ad esempio Cantus in memory di Benjamin Britten e Tabula rasa, queste ultime usate da Moretti come elemento di congiunzione fra la realtà e i momenti di sogno o di ricordo.
Per Moretti girare questo film sulla madre non è stato affatto facile; è stato lui stesso a dirlo:
“Di solito faccio passare parecchio tempo tra un film e l’altro. Ho bisogno di lasciarmi alle spalle l’investimento psicologico, emotivo del film appena fatto. Ci metto sempre un bel po’ di tempo per ricaricarmi. Stavolta invece, appena uscito Habemus Papam, ho cominciato subito a pensare a Mia madre. Ho iniziato a scrivere quando nella mia vita erano appena successe le cose che poi ho raccontato nel film. Dopo la prima stesura della sceneggiatura, sono andato a rileggermi i miei diari scritti durante la malattia di mia madre perché immaginavo che quei dialoghi, quelle battute, avrebbero potuto aggiungere peso e verità alle scene tra Margherita e la madre. Ecco, rileggere quei quaderni è stato doloroso”.
Le due figure delineate da Moretti sono dunque antitetiche: quella di Margherita rappresenta l’immagine della donna apparentemente forte e aggressiva, ma in realtà fragile e confusa che alla fine sceglie di andare avanti nonostante tutto; dall’altro fronte c’è Giovanni che invece, non reggendo la difficile situazione sceglie di abbandonare il lavoro che aveva.
Mia madre è dunque un film che porta sullo schermo tantissimi temi e sentimenti: la solitudine, la vita, la morte, la paura di rimanere soli, l’angoscia e la paura del vuoto. Un film che riporta ai veri valori della vita: l’amore per le persone che amiamo, così come sono, fino alla fine.


                                                                                                         Lavinia Alberti

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