domenica 20 maggio 2018

“Liolà”: quando la prosa si trasforma in coralità. Un omaggio al commediografo di Girgenti





Nell’anno del 150esimo dalla nascita di Luigi Pirandello il Teatro Biondo di Palermo non poteva chiudere in modo migliore la Stagione Teatrale 2018: con uno spettacolo dedicato proprio a lui, e lo fa mettendo in scena in modo del tutto originale “Liolà”, commedia campestre in tre atti, come fu definita dallo stesso autore agrigentino.

Si tratta di una narrazione con un taglio inusuale, che fonde perfettamente prosa, musica e movimenti scenici, che sin dalle prime battute è in grado di far “perdere” lo spettatore nella dimensione della finzione scenica, nelle sonorità e nelle varianti dialettali siciliane, interpretate in tutte le loro sfaccettature.

Sono questi gli ingredienti di un’opera che, benché audace da certi punti di vista (si pensi alla scelta di recitare l’intera commedia in dialetto, come anche all’utilizzo di certe coreografie simboliche) risulta nell’insieme abbastanza fedele al testo originale, scritto nel 1916 in dialetto agrigentino.

La commedia, ispirata a un episodio del quarto capitolo del romanzo Il fu Mattia Pascal, racconta le vicende di Liolà, (interpretato da Mario Incudine) un contadino il cui unico scopo sembra essere quello di sedurre e mettere incinta le ragazze delle campagne agrigentine, dei cui figli si fa carico affidandoli alla propria madre. Nel corso della commedia, il giovane contadino di Girgenti ingraviderà fra le altre Tuzza, nipote del ricco Zio Simone (magistralmente interpretato da Moni Ovadia, che funge anche da narratore introducendo la commedia con un breve prologo in lingua italiana); l’anziano possidente, dietro proposta dello stesso Liolà, vorrebbe far credere alla comunità di essere il padre del nascituro per nascondere la propria sterilità, assicurandosi così un erede legittimo della propria roba.

Un gioco raffinato e ben equilibrato di seduzioni e inganni, ma anche di pungenti e filosofiche battute è affidato – in parti che sembrano quasi cucite loro addosso - ai palermitani Paride Benassai nel ruolo di Pauluzzu (personaggio del folle-saggio introdotto dal regista e non presente nella commedia originale), a Rori Quattrocchi nel ruolo di Zà Ninfa, una nonna assai materna e oblativa, a Stefania Blandeburgo in quello di Zà Croce, una madre possessiva e calcolatrice cui importa molto poco la felicità della figlia.

Tali interpretazioni rendono quest’opera estremamente coinvolgente e comica (dai tratti quasi plautini e per certi aspetti verghiani); in questo senso un valore aggiunto e dunque un ruolo fondamentale per la riuscita della commedia ha svolto anche il monologo finale sulla morte scritto e recitato dal già citato Pauluzzu alias Paride Benassai, monologo che il pubblico sembra aver particolarmente apprezzato, forse perché corteggia ma sdrammatizza anche la morte.

Uno spettacolo sensorialmente ed emotivamente coinvolgente, quasi melodrammatico, che va oltre i tradimenti e le rocambolesche avventure di Liolà, oltre la prosa “piatta”, come le figurine da ombre cinesi in cui i personaggi vengono abilmente trasformati e i cui dialoghi diventano arie e recitativi accompagnati dalla musica che domina dall’inizio alla fine.
Degni di menzione sono quindi anche i movimenti scenici e le coreografie, curati da Dario La Ferla e con essi il coro di contadini e popolani interpretato dagli attori e danzatori del Teatro Ditirammu diretto da Elisa Parrinello, per non parlare della direzione musicale, curata da Antonio Vasta.
La commedia è stata definita dallo stesso Ovadia e Incudine “un’opera a tutto tondo, che mescola prosa e musica in una grande favola vicina al mondo dell’opera popolare. Il protagonista rappresenta la vita, il canto, la poesia, il futile ancorché necessario piacere. Lui è l’amore e la morte, il sole e la luna, il canto e il silenzio, il sangue e la ferita, incarna in sé il Don Giovanni di Mozart e il Dioniso della mitologia, governato dall’aria che fa ruotare il suo cervello come un firrialoru, un mulinello. È un uccello di volo, che teme la gabbia e volteggia da un amore all’altro senza mai posarsi troppo a lungo sopra un singolo ramo. Volteggia e canta continuamente, mirando tutti dall’alto, abbracciando, baciando, amoreggiando, sì, ma scansando scaltro le trappole della restrizione”.






Lavinia Alberti



Regia Moni Ovadia e Mario Incudine
Musiche originali Mario Incudine
Sc
ene Mario Incudine
Costumi Elisa Savi
LucFranco Buzzanca
Movimenti scenici e coreografie Dario La Ferla
Direzione musicale Antonio Vasta
Aiuto regista Alessandro Idonea
P
roduzione Teatro Biondo di Palermo in collaborazione con Teatro Garibaldi di Enna / Teatro Regina Margherita di Caltanissetta.



Musici Antonio Vasta (fisarmonica) Antonio Putzu (fiati) Manfredi Tumminello (corde)
Contadini e popolani Compagnia del Teatro Ditirammu diretto da Elisa Parrinello: Noa Blasini, Chiara Bologna, Elvira Maria Camarrone, Valentina Corrao, Francesco Di Giuseppe, Bruno Carlo Di Vita, Mattia Carlo Di Vita, Noa Flandina, Alessandra Ponente, Alessia Quattrocchi, Rita Tolomeo, Pietro Tutone, Fabio Ustica.





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