lunedì 15 dicembre 2014

Magic in the Moonlight



Da poco più di una settimana è nelle sale il nuovo film di Woody Allen, che sin dalle prime inquadrature si presenta al pubblico come una commedia leggera e frizzante, nello stile tipico del regista di Manhattan.
Il film, ambientato nella Berlino degli anni ’30, racconta la storia di Long Soo (interpretato magistralmente da Colin Firth), un prestigiatore cinese che è in grado di far sparire gli elefanti; pochi sanno che egli cela l’identità di Stanley Crawford, un gentiluomo inglese con un’alta concezione di sé, razionale, sentenzioso e cinico, che non sopporta i falsi medium che si improvvisano maghi.
 Convinto da un amico, Stanley Crawford si reca a casa della famiglia Catledge, in Costa Azzurra, presentandosi come Stanley Taplinger, un uomo d’affari. Suo obiettivo sarà smascherare Sophie Baker (Emma Stone), presunta medium e veggente impegnata a circuire una ricchissima famiglia americana in vacanza sulla riviera francese.
Inizialmente il protagonista, anche se un po’ scettico, non può fare a meno di ammettere le doti della donna, basandosi sulle stupefacenti intuizioni di lei riguardo al passato del gentiluomo e della famiglia Catledge. Pian piano anche un uomo cinico e calcolatore come Stanley subisce il suo fascino, finendo per innamorarsene, anche dopo avere scoperto il suo inganno. Alla fine del film il protagonista non può fare a meno di ammettere che egli è come Sophie: entrambi infatti credono nell’illusione, in quel pizzico di magia che è presente nella vita di tutti noi.
Non è la prima volta che Allen affronta il tema della magia e dell’occulto; si pensi a film come Stardust Memories, New York Stories, Alice, Ombre e nebbia, La maledizione dello scorpione di giada, Scoop o ancora a Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni, tutti film che  rivelano anche un altro dei temi principali della poetica alleniana: la scelta.


Pur essendo una commedia apparentemente leggera e frivola, dalla sceneggiatura apparentemente banale, Allen in questo film è in grado di attirare l’attenzione anche dello spettatore più distratto; il messaggio del regista è infatti molto sottile: soltanto allontanandosi dalla razionalità, a volte noiosa e sterile e con un poco di magia e irrazionalità è possibile rendere la propria vita e quella altrui più interessante e imprevedibile.

Il film pone di fronte a una serie di domande e risposte che lo spettatore può o non può darsi; è un continuo montare e smontare conclusioni. Lo spettatore è avvolto dall’incertezza e dallo stupore. È un’opera di grande spessore e dai dialoghi illuminanti, un film per molti versi nuovo nel panorama della produzione di Woody Allen. È una commedia aperta a tante prospettive: può essere vista con l’occhio della diffidenza (inizialmente dal punto di vista di Stanley), o con il cuore aperto alla speranza.



                                                                                                           Lavinia Alberti

Nessun commento:

Posta un commento