mercoledì 17 febbraio 2016

L'ultima parola - la vera storia di Dalton Trumbo

Dopo Candidato a sorpresa, film su un uomo politico la cui figura era al centro dei media digitali, ancora una volta Jay Roach sceglie di affrontare un film dai temi politici e sociali e di portare sul grande schermo la storia di un uomo dai grandi ideali, prima ancora che di un grande sceneggiatore.



Il film, basato sulla biografia di Trumbo (di
Bruce Alexander Cook), racconta la vita di uno dei più famosi sceneggiatori di Hollywood, Dalton Trumbo, magistralmente interpretato da Bryan Cranston, candidato agli Oscar 2016 come miglior attore; il cast vede interpreti di grande talento: da Diane Lane nel ruolo di Cleo Fincher Trumbo a Helen Mirren perfetta nei panni della giornalista anticomunista e promotrice delle idee americane, fino a Michael Stuhlbarg interprete di Edward Robinson.
Ambientato negli anni d’oro di Hollywood, del maccartismo, della Guerra Fredda e in quelli in cui si dava la caccia ai comunisti considerati dei poco di buono, per non dire delle figure socialmente “devianti”, la pellicola focalizza l’attenzione sulla carriera del talentuoso sceneggiatore. Marchiato nella lista nera insieme ad altri nove collaboratori della sua troupe per le sue idee comuniste, egli subirà una battuta d’arresto cui non si rassegnerà.
 Il regista con questo film sceglie dunque di raccontare la storia di uomo disposto anche a pesanti compromessi pur di portare avanti i propri ideali e valori morali e di smantellare i vecchi sistemi e pregiudizi classisti. Trumbo benché in tempi bui e in maniera insolita riuscirà a conquistare ben due Oscar: per la sceneggiatura di Vacanze romane (1954) e de La più grande corrida (1956).
Il film attraverso l’alternanza di filmati d’epoca e scene girate in set non sceglie solo di mostrare l’aspetto politico e ideologico di questo personaggio ma anche altre sfaccettature; diverse sono infatti le scene di vita familiare in cui appare il volto più “umano” del protagonista e si entra in punta di piedi nel suo delicato equilibrio familiare così da percepire come anche questa sfera sia stata “lacerata” dalle scelte politiche dello sceneggiatore. Il vissuto di Trumbo è dunque quello di un uomo continuamente sotto accusa e giudizio, desideroso di giustizia sociale e voglioso di liberarsi dai fardelli e i pregiudizi della società degli anni del dopoguerra.

La pellicola la cui durata è di poco più di due ore, è ben congegnata dal punto di vista registico. Anche la fotografia curata da Jim Denault è eccellente per non parlare della colonna sonora composta da Theodore Shapiro, le cui note jazz (fondendosi con la “sonorità” del battito della macchina da scrivere) aprono i titoli di testa accompagnando le immagini del protagonista. Il repertorio jazz benché marginale, ha una sua ciclicità: viene applicato nei titoli di testa per presentare il carattere del protagonista, energico e stacanovista, e riproposto nei titoli di coda, accompagnato questa volta a immagini di repertorio.
La storia di Dalton Trumbo fa riflettere su come a volte l’umanità e in questo caso una nazione come l’America (che da sempre si è vantata del suo essere democratica) sia stata invece capace di etichettare, classificare solo per appartenenze politiche e ideologiche; è un film che mostra il trionfo dei vinti e della moralità che dimostra come l’arte non possa avere vincoli o essere asservita ai regimi, proprio perché essa è per sua natura espressione di libertà e creatività.

Lavinia Alberti




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