martedì 28 marzo 2017

Quanta letteratura c’è nella musica…


Quante volte ascoltando un brano alla radio o in tv ci siamo chiesti se e in che misura il cantautore del brano in questione ha preso spunto dai testi del passato, letterari o poetici che siano? Molte volte.
Nella storia della musica l’elenco dei musicisti che hanno preso più che uno spunto dai grandi capolavori letterari e poetici del passato è veramente infinito. Ma andiamo per ordine.
Le prime forme di contaminazione tra poesia e musica risalivano ai cantori greci, poi ai trovatori provenzali che con strumenti a corda accompagnavano la lettura dei versi. Poco più tardi tale connubio lo ritroveremo nei madrigali e nelle ballate medievali (le cui composizioni si basavano sui testi poetici dei grandi umanisti); un connubio che qualche secolo dopo sarà incarnato dall’opera ottocentesca (con le arie e i recitativi).
In tempi più recenti, e precisamente dalla metà del ‘900 - all’interno di quel periodo che la storiografia musicale ha etichettato come musica contemporanea - svariati esempi di contaminatio tra letteratura e musica si avranno anche da parte di cantautori di ogni genere: dalle star del rock americano (che attingono e continuano ad attingere dai romanzi e dai versi dei poeti per la stesura delle loro canzoni) alle celebrità della musica italiana (i cui testi, nemmeno paragonabili alle composizioni odierne, hanno segnato un’epoca d’oro).
Davvero tantissimi sono stati i musicisti del secolo breve che con le loro canzoni, nate grazie a spunti letterari, hanno fatto emozionare generazioni e generazioni di giovani e meno giovani, anche solo con un titolo, un ritornello o un accordo.
Un cantautore che ai grandi classici della letteratura e ai versi poetici ha dedicato gran parte della sua esistenza, rielaborandoli e facendoli propri attraverso la musica, è stato Fabrizio De André; molto più che un musicista: un paroliere che proprio per la profondità etico-religiosa delle sue canzoni e per la magica fusione tra musica ed endecasillabi ha fatto conoscere la miseria umana, l’amore, la solitudine, la guerra, la morte, e che può senz’ombra di dubbio essere definito un poeta prima ancora che un uomo di musica. Questa sua vocazione poetica applicata alla musica si coglie ad esempio nel testo de La buona novella, album del 1970 nel quale il cantautore genovese riscrive la visione cattolica ispirandosi ai vangeli apocrifi conferendo a Gesù e Maria un aspetto più laicamente umano che divino. Un simile discorso si può fare anche per l’album Non al denaro, non all’amore né al cielo (1971), che De André ha scritto basandosi sull’Antologia di Spoon River (1915) di Edgar Lee Masters. Ne La collina ad esempio il “Faber” ispirandosi alle epigrafi in versi dei defunti “che dormono sulla collina” ci trasporta nell’immaginario descritto dalle opere dei grandi poeti del passato; in Un blasfemo, parla invece di un bestemmiatore convinto che Dio si è comportato iniquamente col genere umano condannandolo a vivere nell’inconsapevolezza ("come uno scemo") e privandolo della conoscenza del bene e del male.
In tutti questi casi è inutile dirlo, si tratta di una meta-poesia che genera pura contemplazione. Da questo punto di vista De André è stato forse uno dei pochi autori che meglio ha saputo incarnare tale connubio musica-letteratura, insieme a pochi altri della sua stessa generazione.
Come non citare poi Edoardo Bennato che nell’album Burattino senza fili (1977) omaggia invece interamente il grande capolavoro di Carlo Collodi, in brani come Mangiafuoco, Il gatto e la volpe. In un altro album poi Sono solo canzonette (1980) in brani come L’isola che non c’è, Nel covo dei pirati e Il rock di Capitano Uncino, trae invece palesemente spunto da Le avventure di Peter Pan (1906) romanzo dello scrittore scozzese James Matthew Barrie.
Che dire poi di Francesco Guccini, la cui discografia è costellata da episodi che sono un pullulare di letteratura oltre che di pura poesia; si possono citare ad esempio canzoni come Signora Bovary, Don Chisciotte e Cyrano, quest’ultima traccia liberamente ispirata all’opera teatrale Cyrano de Bergerac (1897) del poeta drammatico francese Edmond Rostand.
Un notevole contributo in senso poetico è stato dato poi dal cantautore catanese Franco Battiato. Moltissime sono infatti le sue canzoni che hanno preso spunto da testi poetici e letterari; un esempio è Invito al viaggio (1999), brano presente all’interno dell’album Fleurs, in cui il cantautore cita fin dal titolo una poesia di Baudelaire tratta dai Fiori del male (1897): “Tutto, laggiù, è ordine e beltà / lusso, calma e voluttà”, (riadattata dal filosofo Manlio Sgalambro e messa in musica da Battiato).
Oggi invece ben pochi sono i cantautori e i musicisti che attingono alle fonti letterarie per le loro composizioni. Forse è anche per questo che nella maggior parte dei casi si tratta di canzoni di stagione (o meglio di canzonette usa e getta da supermercato) svuotate di senso, struttura armonica e valori; salvo rare eccezioni, si tratta di melodie piatte che vengono assorbite passivamente ma che nulla dicono o lasciano al fruitore in termini di emozioni.
Visto lo scenario musicale odierno – in riferimento soprattutto alla musica italiana – forse sarebbe il caso di guardare ai grandi capolavori musicali del passato, che dello spessore testuale e morale avevano fatto una vera e propria missione. Perché non si può dar vita a qualcosa di originale se non si guarda indietro.


Lavinia Alberti