sabato 28 febbraio 2015

Maraviglioso Boccaccio

Dopo Cesare deve morire, Orso d'oro al Festival di Berlino del 2012, i fratelli Paolo e Vittorio Taviani propongono Maraviglioso Boccaccio, in uscita nelle sale dal 26 febbraio.
Il nuovo film dei fratelli Taviani, affronta un tema già ben noto al pubblico: le novelle del Decameron di Boccaccio. Sin dalle prime inquadrature, lo spettatore viene guidato e trasportato, sia musicalmente che visivamente, nell’ambiente, nella cultura e nelle usanze fiorentine del ‘300.
Dalle prime riprese, dal basso all’alto e dai campi lunghi, (che sembrano quasi dei quadri) ma anche dalle musiche utilizzate, lo spettatore capisce quasi subito che si tratta di un’opera che porta la firma dei due fratelli fiorentini.
Il film si presenta sin da subito scorrevole e dunque di facile fruizione; pur trattando un tema che per alcuni potrebbe sembrare poco stimolante o di poco interesse come quello del racconto delle varie novelle da parte dei protagonisti, nell’insieme risulta molto efficace ed è capace di incuriosire, e accattivarsi l’attenzione del pubblico più “ostile” a questo genere di film. Merito di tutto ciò è non soltanto l’abile regia dei registi fiorentini, ma anche la colonna sonora (il commento musicale è infatti affidato a musiche composte dai Taviani e a quelle di repertorio di Mozart), che si fonde perfettamente alle immagini contribuendo così al coinvolgimento emotivo del pubblico.
Il film è del tutto fedele all’opera boccaccesca. Esso inizia descrivendo l’ambiente cittadino fiorentino e il suo relativo contesto storico: la peste che si abbattè nel 1348 su Firenze. Successivamente la scena si sposta nelle campagne fiorentine (in una villa abbandonata sulle colline toscane), dove si recano sette ragazze e tre ragazzi per sfuggire all’epidemia di peste, alla disillusione della loro epoca e per ritrovare i valori perduti.
Per non annoiarsi e per utilizzare il loro tempo in maniera utile, decidono così di raccontarsi a turno una novella al giorno, secondo il tema stabilito il giorno prima; Delle cento novelle boccaccesche, solo cinque verranno raccontate nel film. Le storie da loro raccontate, sono molto varie: si va infatti dalle storie di tono tragico, a quelle di tono bizzarro, comico, fino a quelle erotiche.
Ciò che si nota all’interno del film, è il fatto che sono le donne che hanno il ruolo centrale, tant’è vero che tutto parte da loro; è lo stesso Antonio Taviani a dirlo:
«Il film è completamente al femminile, sono loro che decidono di uscire da Firenze, sono loro che decidono di ingannare il tempo e la morte raccontandosi novelle e sono sempre loro che con l’amore, la fantasia, i racconti, riacquistano fiducia nel futuro, decidendo poi di tornare a Firenze»
Le novelle vengono raccontate in maniera alternata: si inizia con la storia di Gentile Carisendi, una novella di passione e rivincita, i cui interpreti sono Riccardo Scamarcio nel ruolo di Carisendi che riporta l’amata in vita, e Vittoria Puccini nel ruolo di Catalina. La novella seguente si presenta invece dal tono comico e ironico e descrive la ben nota storia di Calandrino, un artigiano con la fama di stupido e sempliciotto, un uomo che si crede furbo, ma che viene beffato dai due amici Bruno e Buffalmacco.
Il pubblico quasi non riconosce Kim Rossi Stuart (abituato a interpretare ben altri ruoli), che nelle vesti di Calandrino, non lo aveva quasi mai visto, almeno in un film dei Taviani.
Segue poi la novella dal tono più mesto e cupo, quella di Tancredi e Ghismunda, i cui ruoli sono interpretati rispettivamente da Lello Arena e Kasia Smutniak. Il ruolo di Goffredo è invece affidato a Michele Riondino, ben interpretato e soprattutto calzante per questo ruolo.
La storia, anche questa ben nota, racconta la vicenda dell’amore tormentato di Ghismunda e Goffredo, che vede continui ostacoli proprio a causa degli ostacoli del padre Tancredi. Il finale della novella sarà amaro e tragico; il padre ucciderà l’amato della figlia, prendendogli il cuore, e Ghismunda per la profonda infelicità si suiciderà invogliando del veleno.
Con la quarta novella si ritorna di nuovo a un tono comico, ironico e grottesco. La storia è infatti quella di alcune badesse, monache di clausura che, ancora giovani e piacenti, in quanto esseri umani fatti di carne ed ossa, non possono far a meno di cedere ai piaceri della carne.
Tutta la novella viene descritta e soprattutto interpretata in chiave grottesca e caricaturale, tanto da suscitare nel pubblico in sala (grazie anche alle battute comiche recitate con l’accento fiorentino) grandi risate e in certi casi commenti. La novella, seppur in maniera sottile e arguta, vuole essere chiaramente un “attacco” alla chiesa, e vuole far riflettere su quanto a volte anche la Chiesa (dietro le apparenze e i riti di facciata) sia spesso ipocrita. Il messaggio di Boccaccio d’altronde era ben chiaro su questo.

A rendere il tutto più comico e grottesco nel film, è la recitazione e il volto di Paola Cortellesi, che interpreta una delle badesse: Usimbalda la quale, anche lei come molte altre, verrà alla fine scoperta per aver commesso suoi “peccati”. La Cortellesi svolge forse il ruolo centrale, proprio perché è presente in molte scene della novella; è infatti dal suo volto e dalle sue battute che provengono le risate e i commenti del pubblico in sala.

                         

Infine l’ultima novella, che si colloca a conclusione del film, racconta invece la storia di Federigo degli Alberighi, un giovane innamorato, il cui ruolo è affidato a Josafat Vagni e di una nobildonna, Giovanna, interpretata da Jasmine Trinca che però in quanto madre non contraccambia il suo amore. Si tratta di una novella dai toni dolceamari: il protagonista infatti, un nobile decaduto, sacrifica infatti il suo unico bene, un magnifico falcone da caccia, per onorare la sua ospite Giovanna.
Il film si chiude così come si è aperto: con una storia d’amore impossibile risoltasi in un lieto fine.
Narrando la fuga nella campagne da parte dei dieci ragazzi, i Taviani hanno voluto raccontare la precarietà e la “peste” domestica che avvolge le loro vite; non è un caso se i due registi fiorentini abbiano scelto proprio in questi tempi di rappresentare tali tematiche; infatti, la pestilenza potrebbe rappresentare la metafora della crisi odierna: crisi di certezze e di valori, ma anche la precarietà dei giovani e il loro bisogno di fare comunità. Il messaggio che sembra vogliano dare i registi fiorentini è proprio questo, e le loro parole lo confermano: "La peste è il punto di partenza del film che rappresenta il male dei nostri tempi, riapparsa, oggi, in forme diverse".


          




                                                                                                                                   Lavinia Alberti