venerdì 11 gennaio 2019

Vent’anni senza “Faber”, il re del cantautorato italiano



Era l’11 gennaio del 1999: sono passati esattamente vent’anni dalla morte di uno dei più celebri e stimati cantautori italiani, la cui carriera è durata oltre un trentennio.

Stiamo parlando di Fabrizio De Andrè, alias Faber (appellativo datogli dall'amico Paolo Villaggio con riferimento alla sua predilezione per i pastelli della Faber-Castell, oltre che per l'assonanza con il suo nome).

La sua è stata una carriera artistica molto intensa: 14 album e diversi singoli (di cui alcuni riediti in antologie, anche in epoche a lui successive) che hanno raccontato in maniera anticonvenzionale storie di potere, emarginazione, ribellione e cronaca. Un autore come pochi, le cui canzoni (non a caso inserite a partire dagli anni ‘70 nelle antologie scolastiche di letteratura) traboccano di rimandi letterari, poetici, religiosi, politici e filosofici, come nel caso dell’album Tutti morimmo a stento (1968), ispirato alla poetica dell’autore quattrocentesco François Villon e a tematiche esistenzialiste, in cui la morte diviene la protagonista assoluta; una morte non fisica ma morale ed etica, fatta di “microtraumi” esistenziali, di mancanze e di oblii. All’interno del disco non è difficile trovare poi versi “provocatori” e dissacranti, scritti per scuotere le coscienze della classe borghese, come: <ho licenziato Dio/gettato via un amore/per costruirmi il vuoto/nell’anima e nel cuore>; <banchieri, pizzicagnoli, notai/coi ventri obesi e le mani sudate/coi cuori a forma di salvadanai/noi che invochiam pietà fummo traviate/>.

Riferimenti religiosi sono invece presenti ne La buona novella (1970), album di fondamentale importanza per la carriera del cantautore genovese, quello in cui meglio ha saputo esplicare – in riferimento al Nuovo Testamento – il suo pensiero da non credente alla luce di alcuni vangeli apocrifi, mettendo in luce la crudeltà di certi uomini e l'aspetto umano della figura di Gesù, carattere sul quale la Chiesa non ha mai posto l’accento. <Gli uomini della sabbia hanno profili d’assassini/rinchiusi nei silenzi/d’una prigione senza confini>; <non posso pensarti figlio di Dio/ma figlio dell’uomo, fratello e anche amico>.

Altri rimandi colti nei suoi testi si ritrovano poi nell’album Non al denaro, non all'amore né al cielo (1971), opera che vuole essere un libero adattamento di alcune poesie dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, il cui “mal di vivere” è in qualche modo addolcito dalle linee melodiche (<Tu prova ad avere un mondo nel cuore/ e non riesci ad esprimerlo con le parole>; <solo la morte m’ha portato in collina/un corpo fra i tanti a dar fosforo all’aria/per bivacchi di fuochi che dicono fatui/che non lasciano cenere, non sciolgon la brina>).

Album pieni di citazionismo politico sono invece Storia di un impiegato (1973) e Le Nuvole (1990), il cui modello di riferimento, in quest’ultimo disco, è chiaramente l’omonima opera di Aristofane; in entrambi i casi si tratta di lavori nei quali è emerso l’autentico De Andrè, che ancora una volta non ha risparmiato le sue argute e sottili critiche alle contraddizioni della società borghese (<Vanno/vengono/ogni tanto si fermano/e quando si fermano/sono nere come il corvo/sembra che ti guardano con malocchio>).

Le sue canzoni hanno attraversato e accompagnato intere generazioni, hanno lasciato il segno in maniera trasversale, proprio per la loro profonda attualità, per la completezza testuale e melodica. A conferma di ciò è il fatto che già a partire dagli anni ‘60, molti suoi singoli sono entrati a far parte dell’universo cinematografico, diventando colonna sonora di alcune pellicole. Tra questi ricordiamo: La cuccagna, di Luciano Salce (1962), O pai de Migueliño, di Miguel Castelo (1977), Topo Galileo, di Francesco Laudadio (1987), Non al denaro non all'amore né al cielo, di Ielma Adinolfi, Francesco Crispino, Flavio Rizzo e Gabriele Scardino (1996), L'odore del sangue, di Mario Martone (2004), In fabbrica, di Francesca Comencini (2007), Amore che vieni, amore che vai, di Daniele Costantini (2008), Palermo Shooting, di Wim Wenders (2008). Un recente omaggio gli è stato reso infine con il film Fabrizio De André - Principe libero, di Luca Facchini, uscito nelle sale lo scorso gennaio (2018).

Coraggio e umanità ma anche risentimento e ribellione verso gli ipocriti e i corrotti sono tra i valori che il cantautore genovese ci ha lasciato in eredità, da intellettuale e raffinato poeta quale egli era, instancabile decifratore di linguaggi segreti, di colori e immagini della realtà.

Se fosse ancora in vita probabilmente dedicherebbe intere canzoni agli emarginati, ai migranti, agli “offesi” dalle disuguaglianze. Alla luce dei recenti eventi, sarebbe il caso che tornasse di moda un nuovo De Andrè: un salvatore delle coscienze, di cui abbiamo estremo bisogno.





Lavinia Alberti