Era l’11 gennaio del 1999: sono passati esattamente vent’anni
dalla morte di uno dei più celebri e stimati cantautori italiani, la cui carriera è durata oltre un trentennio.
Stiamo
parlando di Fabrizio De Andrè, alias Faber (appellativo datogli dall'amico
Paolo Villaggio con riferimento
alla sua predilezione per i pastelli della Faber-Castell,
oltre che per l'assonanza con il suo nome).
La sua
è stata una carriera artistica molto intensa: 14 album
e diversi singoli (di cui alcuni riediti in antologie, anche in
epoche a lui successive) che hanno raccontato in maniera anticonvenzionale storie
di potere, emarginazione, ribellione e cronaca. Un autore come pochi, le
cui canzoni (non a caso inserite a partire dagli anni ‘70 nelle antologie scolastiche di letteratura) traboccano
di rimandi letterari, poetici, religiosi, politici e filosofici, come nel caso
dell’album Tutti morimmo a stento (1968),
ispirato alla poetica dell’autore quattrocentesco François Villon e a tematiche esistenzialiste, in cui
la morte diviene la protagonista assoluta; una morte non fisica ma morale ed
etica, fatta di “microtraumi” esistenziali, di mancanze e di oblii. All’interno
del disco non è difficile trovare poi versi “provocatori” e dissacranti, scritti
per scuotere le coscienze della classe borghese, come: <ho licenziato Dio/gettato via un amore/per costruirmi il
vuoto/nell’anima e nel cuore>; <banchieri, pizzicagnoli, notai/coi ventri
obesi e le mani sudate/coi cuori a forma di salvadanai/noi che invochiam pietà
fummo traviate/>.
Riferimenti
religiosi sono invece presenti ne La buona novella (1970),
album di fondamentale importanza per la carriera del cantautore genovese, quello
in cui meglio ha saputo esplicare – in riferimento al Nuovo Testamento – il suo
pensiero da non credente alla luce di alcuni vangeli apocrifi, mettendo in luce la crudeltà di certi uomini e l'aspetto
umano della figura di Gesù,
carattere sul quale la Chiesa non ha mai posto
l’accento. <Gli uomini della sabbia
hanno profili d’assassini/rinchiusi nei silenzi/d’una prigione senza confini>;
<non posso pensarti figlio di Dio/ma figlio dell’uomo, fratello e anche
amico>.
Altri
rimandi colti nei suoi testi si ritrovano poi nell’album Non al denaro, non all'amore né al
cielo (1971), opera
che vuole essere un libero adattamento di alcune poesie dell’Antologia di Spoon River
di Edgar Lee Masters, il cui “mal di vivere”
è in qualche modo addolcito dalle linee melodiche (<Tu prova ad avere un mondo nel cuore/ e non riesci ad esprimerlo con le
parole>; <solo la morte m’ha portato in collina/un corpo fra i tanti a
dar fosforo all’aria/per bivacchi di fuochi che dicono fatui/che non lasciano
cenere, non sciolgon la brina>).
Album
pieni di citazionismo politico sono invece Storia di un impiegato (1973) e Le
Nuvole (1990), il cui
modello di riferimento, in quest’ultimo disco, è chiaramente l’omonima opera di
Aristofane; in entrambi i casi si tratta di lavori nei quali è emerso l’autentico
De Andrè, che ancora una volta non ha risparmiato le sue argute e sottili
critiche alle contraddizioni della società borghese (<Vanno/vengono/ogni tanto si fermano/e quando si fermano/sono nere
come il corvo/sembra che ti guardano con malocchio>).
Le sue
canzoni hanno attraversato e accompagnato intere generazioni, hanno lasciato il
segno in maniera trasversale, proprio per la loro profonda attualità, per la completezza
testuale e melodica. A conferma di ciò è il fatto che già a partire dagli anni ‘60,
molti suoi singoli sono entrati a far parte dell’universo cinematografico,
diventando colonna sonora di alcune pellicole. Tra questi ricordiamo: La cuccagna, di Luciano Salce
(1962), O pai de Migueliño, di Miguel Castelo (1977), Topo Galileo,
di Francesco Laudadio (1987), Non al denaro non
all'amore né al cielo, di Ielma Adinolfi, Francesco Crispino, Flavio Rizzo
e Gabriele Scardino (1996), L'odore del sangue, di Mario Martone
(2004), In fabbrica, di Francesca Comencini (2007), Amore che vieni, amore che vai,
di Daniele Costantini (2008), Palermo
Shooting, di Wim Wenders (2008). Un recente omaggio gli è
stato reso infine con il film Fabrizio De André - Principe libero,
di Luca Facchini, uscito
nelle sale lo scorso gennaio (2018).
Coraggio e umanità ma anche
risentimento e ribellione verso gli ipocriti e i corrotti sono tra i valori che
il cantautore genovese ci ha lasciato in eredità, da intellettuale e raffinato
poeta quale egli era, instancabile decifratore di linguaggi segreti, di colori
e immagini della realtà.
Se fosse ancora in vita probabilmente
dedicherebbe intere canzoni agli emarginati, ai migranti, agli “offesi” dalle
disuguaglianze. Alla luce dei recenti eventi, sarebbe il caso che tornasse di
moda un nuovo De Andrè: un salvatore delle coscienze, di cui abbiamo estremo
bisogno.
Lavinia Alberti