lunedì 18 maggio 2015

L'eterna giovinezza

 
Dopo La grande bellezza (2013), film col quale Sorrentino si è portato a casa un Oscar, questa volta il regista napoletano ha scelto di portare sul grande schermo un film diverso ma che per certi aspetti lo può ricordare, Youth.
Passando dalle terrazze romane del precedente film agli ambienti alpini svizzeri, questa volta il regista  sceglie di trattare un tema più “scomodo” e di difficile trattazione, poiché il nuovo film tratta della vecchiaia e del tempo che passa. In realtà non c’è solo questo ma molto altro. Sì, perché il regista tratta temi per certi aspetti speculari: la vecchiaia e la giovinezza, l’amore e la morte, l’apatia e il desiderio, il piacere e la sofferenza. Il tema direttamente correlato ad essi, o meglio, il filo sottile che lega tutti questi è lo scorrere del tempo, tema caro al regista, che lui stesso ha definito quasi un’ossessione; a tal proposito ha detto infatti che esso «E’ l’unico soggetto possibile, l’unica cosa che ci interessa veramente, quanto ne passa e quanto ce ne rimane. Ma a qualsiasi età se si riesce a mantenere uno sguardo sul futuro si può essere giovani. Per questo è un film molto ottimista». Sorrentino ci mostra diverse sfaccettature e declinazioni non solo della sofferenza, ma anche e soprattutto della giovinezza: c’è quella della figlia del protagonista, psicologicamente distrutta perché appena lasciata dal marito, quella idealizzata di Miss Universo, quella spaesata che esprime un giovane attore, infine quella rimpianta da parte dei due amici.
 
Protagonisti del film sono Fred e Mick, due amici di vecchia data, rispettivamente un musicista e un regista che ormai ottantenni decidono di passare un breve periodo della loro vita in un lussuoso hotel ai piedi delle Alpi. Entrambi affermati nel loro campo si raccontano le proprie paure e ansie ma anche i propri desideri e progetti, soprattutto il regista, che annuncia a Fred l’idea di girare il suo prossimo film.
Il film inizia in medias res, descrivendo le varie altre attività che avvengono all’interno dell’hotel; le immagini iniziali coinvolgono sinesteticamente lo spettatore, come in un sogno, tanto che non ci si accorge quasi dell’inizio.
 Di certo non è nuova neanche l’idea di ambientare l’intero film in un hotel: già Resnais  in L’anno scorso a Marienbad aveva ambientato il proprio film in un lussuoso e asettico hotel, Kubrick aveva fatto altrettanto in Shining, e ancora Fellini in Otto e mezzo, il cui riferimento in questo caso è molto esplicito (proprio per le scene ambientate nelle terme, per l’idea del regista che non riesce a girare il suo film, e le atmosfere festive). Un altro modello di riferimento, anche se di non immediata associazione, sembra essere Bergman che ne Il posto delle fragole, benché in maniera più spartana sia dal punto di vista della scenografia che da quello musicale, aveva affrontato il tema della vecchiaia e del tempo che passa.
 
 
                  
 
La figura di Fred, magistralmente interpretata da Michael Cane, è ben resa; soprattutto lo sono le intensioni psicologiche ed emotive, il modo in cui caratterizza i suoi stati d’animo: apatia, rassegnazione all’inizio, ma anche fiducia e amore per la vita in un secondo momento. Il suo è un personaggio molto profondo: in preda ai pensieri e ai continui tormenti, sembra quasi isolarsi in un mondo fuori dalla realtà in cui non gli manca nulla apparentemente ma in realtà percepisce un vuoto interiore, di senso; all’apparenza sembra sia solo un po’ apatico, come viene definito più volte dalla figlia che lo accusa continuamente di essere stato sempre assente dalla sua famiglia pensando solo e soltanto al suo mondo: la musica. In realtà egli, benché abbia un amico, vive perennemente proiettato all’indietro, ricordando la moglie che ha lasciato in lui un vuoto incolmabile.
 
                                        
 
 
Nel corso del film, sembra quasi che il protagonista non viva più il presente ma che rimanga ancorato a un passato che non ritornerà mai più. A conferma di ciò vi è il fatto che i dialoghi con l’amico-regista e i suoi stessi pensieri non sembrano mai riferirsi alla contemporaneità, ma solo al passato.
Se la prima parte può risultare un po’ lenta e coinvolgere poco lo spettatore (almeno a una visione superficiale e poco attenta), la seconda sembra invece recuperare un po’ l’attenzione di quest’ultimo. Nel corso del film un ruolo importante che non va di certo sottovalutato è affidato alla colonna sonora, che contribuisce a far comprendere meglio il messaggio filmico e a coinvolgere emotivamente il fruitore.
Per Sorrentino quello del commento musicale è un ruolo importantissimo, e per questo diviene cifra costante del suo cinema; è un elemento imprescindibile e ineludibile senza il quale verrebbe meno il significato, o quasi, dell’intera opera. Non a caso anche nel precedente film la musica aveva svolto un ruolo fondamentale; se tuttavia ne La Grande bellezza essa aveva la funzione di rendere meglio la decadenza della società romana, in questo caso, specie nella parte finale, essa assume una funzione più intimistica: far comprendere i diversi stati d’animo che il musicista vive.
Con Youth Sorrentino vuole certo dirci che nonostante il tempo che passa e la vecchiaia che incombe, si può sempre ricominciare a vivere, cambiare prospettiva e approccio di fronte a ciò che ci circonda. Le parole del regista a questo proposito sono illuminanti: «è un film molto personale, intimo, scritto e pensato in poco tempo. Il mio messaggio è semplice: con il passato non si è liberi perché è andato, con il presente lo si è poco, ma il futuro, anche se breve, è la più grande prospettiva di libertà che abbiamo». In altre parole ciò che vuole dire è che solo avendo sempre occhi nuovi, curiosità verso ciò che ci circonda saremo sempre giovani.

                                                                                                                                                                                                 Lavinia Alberti