giovedì 20 dicembre 2018

Carmelo Russotto e il suo primo audio-video: una reinterpretazione delle sonorità bachiane



Un progetto audace e ambizioso quello che vedrà protagonista Carmelo Russotto, classe 1995, che il 27 e 28 dicembre presenterà a Cammarata, un paesino dell’entroterra siciliano (Italia) e precisamente sul monte Cammarata, il suo primo audio-video sulle sonorità bachiane.

“La scelta del luogo è stata più che altro una scelta simbolica – spiega il musicista – ho voluto lanciare infatti un messaggio alla mia terra; metaforicamente infatti è come se questo monte facesse da cassa armonica, da amplificatore del mio strumento (la marimba), e quindi del mio messaggio sulla dicotomia vita/morte.

“Si tratta di un progetto che nasce un paio di anni fa – prosegue Russotto – quando ho voluto fare una sfida con me stesso, sia dal punto di vista della difficoltà tecnica sia dal punto di vista dell’interpretazione. Ho sentito la necessità di mettermi in gioco, e ho pensato che un autore come Bach potesse darmi questa opportunità di crescita, essendo un autore molto difficile da interpretare. Ho scelto appositamente questa Fuga in Sol minore della prima Sonata per violino, innanzitutto perché è una delle fughe più difficili scritte da questo compositore (motivo per cui in rete ci sono pochissime interpretazioni) poi perché sin dall’inizio mi entusiasmava il fatto di suonare una Fuga originariamente scritta per violino solo con la marimbra, strumento a percussione di origine africana; tutto questo ha reso la sua interpretazione più complicata, ma adesso posso dire – grazie a questa sfida – di aver vinto con me stesso, e ne sono molto felice”.

Un sogno nel cassetto che prende finalmente forma, quello di Russotto; già due anni fa infatti si era cimentato nell’interpretazione dello stesso brano, ma con grande difficoltà. Oggi invece, grazie alla sua determinazione, allo studio costante e soprattutto al sostegno dei suoi docenti, è riuscito in questa grande impresa. Merito di tale crescita esecutiva e personale del giovane musicista va certamente ai suoi docenti del passato e a quelli che quest’anno lo hanno seguito nel suo percorso di formazione in Slovenja; si tratta di due Maestri di rilievo internazionale: Simon Klavzar e Petra Vidmar, docenti del master all’interno dell’Akademjia Za Glasbo di Ljubljana (Slovenja) (di cui Russotto è attualmente allievo).
“Suonando questa Fuga, nei cui temi si ritrova un continuo inseguirsi e intrecciarsi di motivi in forma variata (in Re all’inizio e in Sol dopo) – prosegue Russotto – mi sono immaginato questi due temi come due elementi antitetici tra loro: la vita e la morte, che si rincorrono e si mescolano in base alle dure prove che la nostra esistenza ci mette di fronte”.

Nel finale dell’audio-video (la cui durata è di circa 14 minuti, e la cui realizzazione è stata curata dal fotografo e video maker Gianpiero La Palerma) Russotto sceglie (un po’ come nell’originale Fuga bachiana per violino solo) volutamente un’interpretazione libera: vuole infatti che sia lo spettatore a interpretare quali temi della Fuga prevalgono, se quelli della “vita” o della “morte”, che ognuno, in base al proprio sentire, all’andamento della propria esistenza, percepisca maggiormente un tema (principale) o un altro (secondario). 
Il genere della Fuga sembra insomma essere un po’ la metafora della nostra vita: un continuo susseguirsi di alti e bassi, un rincorrersi e intrecciarsi di temi e stati d’animo, ma anche un amalgama di bellezze e suggestioni che nascono proprio da questo “caos” melodico. Sta a noi dare la giusta interpretazione…trovare in questo intrecciarsi caotico, in questo trambusto, il tema che dia armonia alla nostra esistenza.
Chissà se sulla scia di queste considerazioni potrà nascere una nuova lettura musicale bachiana firmata Russotto. Il suo sogno è infatti (delle 6 Sonate e 6 Partite scritte dall’autore settecentesco) quello di suonare e registrare almeno un movimento lento o veloce di ogni Sonata e Partita di Bach per violino solo. Nel frattempo ci accontentiamo di ascoltare le sue interpretazioni sulle sue pagine e canali social.







Lavinia Alberti


venerdì 9 novembre 2018

I novant’anni del Maestro Ennio Morricone



Tanti i concerti per celebrare uno dei più prestigiosi compositori di musica da film





Dal 1946 ad oggi ha collezionato più di cinquecento colonne sonore di film – prime tra tutte le opere di Sergio Leone, Giuseppe Tornatore, John Carpenter, Brian de Palma – e serie televisive; ha composto un centinaio di altre composizioni ed ha alle spalle una carriera coronata da importanti premi e riconoscimenti: tre Golden Globe ricevuti rispettivamente nel 1987, nel 2000 e nel 2016 per il commento sonoro dei film “Mission”, “La leggenda del pianista sull'oceano eThe Hateful Eight; svariati Nastri d’Argento, l’ultimo del quale è stato da lui ricevuto nel 2013 per la miglior colonna sonora del film “La migliore offerta; diversi David di Donatello, ottenuti per le musiche dei film “Nuovo Cinema Paradiso” (1989),  Stanno tutti bene” (1991), “La sconosciuta” (2007), “Baaria” (2010), solo per citarne alcuni: questi ultimi tutti film del regista bagherese Giuseppe Tornatore; in ultimo ha ricevuto un Oscar nel 2016 per la miglior colonna sonora del film “The Hateful Eight", del noto regista americano Quentin Tarantino.
Stiamo parlando di Ennio Morricone: compositore, musicista, direttore d’orchestra e arrangiatore, che il 10 novembre compirà i suoi 90 anni, segnando una tappa importante della sua vita.
Diverse sono state le celebrazioni in suo onore, già a partire dai mesi di settembre e ottobre: all’Auditorium Parco della Musica di Roma lo scorso 27 settembre, evento in occasione del quale erano presenti Nicola Piovani, Dario Marianelli e il compositore Salvatore Sciarrino che hanno diretto brani scritti per lui; tanti omaggi gli sono stati resi anche in molte altre città italiane.
Un compositore poliedrico, che ha venduto più di 70 milioni di dischi, la cui carriera include un'ampia gamma di generi compositivi, motivo per il quale lo si può senza ombra di dubbio definire uno dei più versatili e influenti autori di colonne sonore di tutti i tempi.
Ha prodotto musiche per il genere del western all'italiana (tra queste ricordiamo la Trilogia del dollaro, Una pistola per Ringo, La resa dei conti, Il grande silenzio, Il mercenario, Il mio nome è Nessuno e la Trilogia del tempo). Tra gli anni ‘70 e ‘90 – spartiacque importante per la sua carriera – ha poi composto brani per le pellicole del cinema hollywoodiano, tra cui “I giorni del cielo”, “The Mission”, Bugsy, e molti altri.
Una personalità di grande spicco dunque, un grande uomo prima ancora che un grande artista, in grado di distinguersi prima di tutto per la sua dote di umanità e sensibilità oltre che di modestia. “Sono molto imbarazzato e commosso per questi festeggiamenti” – ha detto il Maestro in una recente intervista a lui dedicata. “Sono un compositore come tanti altri – prosegue ancora il compositore romano con la stessa dose di modestia che lo ha sempre caratterizzato – qualcosa mi è andata bene e qualcosa meno bene. Al pubblico dico solo grazie. I compositori hanno bisogno del pubblico".
Un modello da prendere come esempio quindi, non solo per gli artisti ma anche per l’umanità tutta. Le sue musiche, in grado di far volare alto chi ascolta, ma anche le sue parole e tutto ciò che di bello ha creato fino ad ora, rappresentano per tutti noi una vera e propria lezione di vita; ci insegnano infatti come la vera grandezza stia nell’umiltà verso chi ci circonda; Morricone si può per queste ragioni definire un uomo che ha fatto della ricerca musicale e in generale dello studio – nel senso latino del termine – “studium” (passione per ciò che si ama) la sua ragion d’essere.







Lavinia Alberti

martedì 9 ottobre 2018

Donne in musica: Pellitteri e Capodicasa a Termini Imerese per un concerto cameristico


Una serata che metterà al centro le donne musiciste del passato, la cui peculiarità sarà quella di valorizzare quanto siano state importanti le compositrici nella storia della musica cameristica dell’800, e non solo. Questo l’intento del concerto per due pianoforti che si terrà il prossimo giovedì 11 ottobre presso la Chiesa dell'Itria di Termini Imerese (ore 18.30) le cui protagoniste saranno Mariarita Pellitteri e Rita Capodicasa, che suoneranno per conto degli Amici della Musica G. Mulé con la direzione artistica di Rosario Quattrocchi. 
Le pianiste agrigentine da anni svolgono un lavoro di approfondimento sul repertorio cameristico delle compositrici donne; tra queste si possono annoverare le più note Clara Schumann e Fanny Mendelssohn, ma anche Teresa Carreno e Germane Tailleferre. Ciò a partire da una ricerca teorico-musicologica, oltre che esecutivo- musicale che ha come fine la diffusione di un repertorio poco studiato anche nei legami tra letteratura e musica. Il concerto si aprirà infatti con un omaggio a Fanny Mendelssohn, sorella del più famoso Felix, della quale poco viene suonato nelle sale da concerto ma dotata (come pochi sanno) di raffinata sensibilità compositiva, come emerge dai Tre pezzi che eseguiranno in apertura le pianiste. Seguiranno il celeberrimo Lebensturme di Schubert, il Duettino concertante di Busoni su un tema di Mozart, poi i famosi Valzer di Brahms nella versione per due pianoforti; per chiudere in bellezza infine, le pianiste eseguiranno la celebre Rapsodia Ungherese n.2 di Liszt. 
Entrambe le pianiste si sono sempre dedicate all'attività concertistica esibendosi sia da soliste che in diverse formazioni di musica da camera, oltre che in duo, riscuotendo grandi consensi di pubblico e di critica. Mariarita Pellitteri è docente di pianoforte presso il Conservatorio Scontrino di Trapani e Rita Capodicasa è titolare di cattedra di Italiano e Latino presso il Liceo scientifico e delle Scienza umane "R. Politi "di Agrigento.

“L’idea di mettere in piedi un progetto sulle donne in musica (e non solo) – spiega la Capodicasa – è nata da una collega di Partinico Enza Maria D’Angelo che mi ha invitato a suonare ad un concerto dedicato alle compositrici; da qui ho cominciato a scoprire un mondo finora poco esplorato. Ho iniziato a fare ricerche musicologiche prima sulla vita di compositrici che nella storia hanno mostrato doti non indifferenti ma che poi sono state all’ombra di fratelli, padri o mariti…per cui le loro opere sono rimaste poco eseguite”.

Un progetto che per la pianista non è tuttavia limitato solo alla musica, ma che si estende anche alla letteratura e all’arte in generale.

“Anche a scuola – prosegue la pianista – insegnando Lettere curo progetti o attività di approfondimento sulla figura della Donna nella letteratura e nell’arte in generale. In passato per esempio ho proposto conferenze e dibattiti sulla figura della donna nella musica fino a Pirandello.”.



Lavinia Alberti


venerdì 7 settembre 2018

Le Madonie omaggiano il cantautore genovese Fabrizio de André





A Petralia Sottana, paese madonita in provincia di Palermo, in occasione della festa di Maria SS. Bambina, il 7 e l’8 settembre, verrà reso omaggio al cantautore genovese Fabrizio De André che, con i suoi testi e la sua musica, si sa, ci ha lasciato un pezzo di storia, oltre che di “prosa poetica”.

I suoi brani infatti, a tratti provocatori e a tratti accattivanti, si possono senza alcun dubbio definire poetici, proprio per la loro corposità testuale e musicale; non è difficile infatti trovare nelle sue antologie rimandi allegorici, letterari, poetici, per non parlare dell’uso delle rime, delle assonanze e delle diverse figure retoriche quali la metafora, la similitudine e l’iperbole.

Si tratta di un’iniziativa organizzata e promossa dal Comune il quale si propone attraverso due concerti di promuovere la buona musica cantautoriale, quale era quella degli anni '60-'70.

Nel corso della prima sera, venerdì 7 settembre (Piazza Duomo, ore 22.00), la protagonista assoluta sarà “La Piccola Orchestra Animae Faber”; il giorno seguente invece, sabato 8, saliranno sul palco gli “Abusivi band”, i quali hanno da poco terminato le riprese di IBand, il nuovo format televisivo che sbarcherà a dicembre sugli schermi Mediaset del canale La 5.

Quest’anno, in Sicilia, non è la prima volta che viene reso omaggio a De André; un tributo al cantautore genovese era stato reso infatti lo scorso 15 agosto, sempre nel territorio madonita, a San Mauro, ad opera della medesima orchestra, “Animae Faber”. Si tratta di un’orchestra di recentissima formazione nata nel 2017 da un gruppo di musicisti madoniti che intendono approfondire e tributare l’opera poetica e musicale di Fabrizio De André, colosso della musica cantautoriale italiana in grado – con il suo pensiero divergente – di toccare al contempo l’anima e il corpo di chi ascolta.

L’ “Animae Faber”, composta da dieci elementi tra voci e strumentisti (Maurizio La Placa, Paola Scelfo, Ottavio Brucato, Maurizio Nasello, Francesco Barberi, Alessandro Valenza, Francesco Giaconia, Santo Miserendino, Claudio Inguaggiato e Manuel Vena) si è esibita per la prima volta a Palermo, a giugno di quest’anno, in occasione della Maratona De André organizzata dalla Fondazione Teatro Massimo di Palermo.









Lavinia Alberti

giovedì 2 agosto 2018

"I Figli dell’Officina": quando la musica diventa strumento di denuncia sociale





Si chiama così, “I Figli dell’Officina”, la giovane band siciliana diventata portavoce del cantautorato socialmente impegnato sui temi della lotta alla mafia.

Il gruppo nasce a Troina, in provincia di Enna, nell’Aprile del 2010 dall’unione di diverse culture ed esperienze musicali: classica, folk, cantautorato italiano ed americano, rock e dalla voglia di fare musica in modo originale: attraverso i testi d’impegno sociale. Da allora tanta strada è stata fatta.

Dopo l’esordio, e in seguito a varie serate nei locali e nelle piazze delle principali cittadine della provincia siciliana, negli anni successivi la band si esibisce a Cinisi (in provincia di Palermo) in occasione dell’Anniversario di Peppino Impastato e a Belpasso (in provincia di Catania) sul palco con Don Ciotti, presidente dell’Associazione Antimafia “LIBERA”, per la “Carovana Internazionale contro le mafie”; tra il 2012 e il 2013 il gruppo folk si fa poi conoscere anche nei principali teatri di Ragusa, Catania, Messina, Siracusa, Palermo e Trapani; l’anno successivo (2014) diviene invece vincitrice del “Virus Music Fest” di Centuripe (EN).

La svolta avviene nel 2015, in cui “I Figli dell’Officina” danno vita al loro primo album, “Io non ho”, la cui cifra stilistica è un forte spessore sociale definito “cantautorale antimafia” che ricorda in molti brani eroi morti sotto i colpi della mafia. Il progetto "Io Non Ho" (il cui titolo vuole essere una chiara denuncia contro il cancro sociale della malavita, e dunque un invito a non avere paura della mafia) si propone di sensibilizzare i giovani alla legalità, spronandoli ad abbattere i muri d'omertà che purtroppo bloccano la crescita e lo sviluppo della nostra regione, e non solo. 

Un progetto dunque che vuole parlare alla gente, in maniera inusuale e intelligente, dei tragici (e “scomodi”) fatti che hanno, da cinquant'anni a questa parte, reso la Sicilia terra di stragi, omicidi ed attentati; tutto questo lo fa attraverso la semplicità del linguaggio musicale.
La realizzazione e prima uscita dell'album “Io Non Ho” si basa su una valida alternativa alla rassegnazione che ogni giorno ci circonda, raccontando storie di “Martiri”, come Don Pino Puglisi, Peppino Impastato e Rita Atria, tragici Eroi della follia umana.
Anno altrettanto importante per la band siciliana è il successivo (2016) in cui esce il nuovo singolo “I racconti di Manaar, fortemente intriso di intrecci melodici popolari (di fisarmonica e violino) uniti al virtuosismo malinconico del “friscalettu” (uno zufolo di canna tipico della musica popolare della Sicilia). Dentro quest’album si parla di sale e acqua, di onde e mare, di viaggi e paure, di vita e morte, di danza, musica, misericordia e speranza, temi che riguardano da vicino la Sicilia, ma non solo. 

Lo stesso modus operandi caratterizza anche l’ultimo lavoro della band, in fase di preparazione e in uscita nei prossimi mesi. Il nuovo album si chiamerà “Parlamente”: un singolo concepito alla ricerca di una matura concezione artistica, comprendente nove tracce di folk-cantautorale.

Tre album dunque che attraverso le diverse espressioni artistico-culturali si propongono di arginare quanto più possibile il fenomeno della malavita che ormai, ahinoi, caratterizza – non senza pregiudizi – l’immaginario della terra di Trinacria.

Lavinia Alberti

mercoledì 27 giugno 2018

“Volver”, il nuovo spettacolo della Compagnia dei Migranti Amunì



Per il secondo anno consecutivo un tema molto attuale come quello dei migranti e della loro identità



Si chiama così, Amunì Volver il nuovo progetto teatrale ideato dal regista e drammaturgo Giuseppe Provinzano, vincitore del bando MigrArti 2018 indetto dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e primo nella graduatoria nazionale.

Si tratta di uno spettacolo – il cui debutto sarà il 5 luglio – che si propone di mettere al centro il tema dei migranti, e con esso le esperienze di vita vissuta che questi ultimi si trovano a vivere. 
La Compagnia di recentissima formazione (appena un anno) raccoglie attori, performer e aspiranti tali di origine africana, asiatica, tunisina, marocchina, irachena, tutti accomunati dall’esperienza migratoria, in forma più o meno pervasiva.

Un progetto che ha accolto nuovi ragazzi migranti, le loro storie e le loro esperienze, incrementando il confronto e il dialogo con stimoli nuovi e sempre diversi; il risultato di un percorso di formazione artistica e di integrazione coadiuvato dagli attori professionisti.

In Volver non è protagonista solo il teatro ma anche la musica, la scenografia, la scenotecnica; esso rappresenta l’occasione di parlare di qualcosa di “vecchio” nel “nuovo” mondo degli sbarchi. Al centro è posta infatti la memoria storica degli italiani costretti a partire nei primi dei Novecento verso terre lontane alla ricerca di un mondo migliore in cui insediarsi, ma c’è anche un chiaro rimando alla situazione dei migranti di oggi.

Un testo quello di Provinzano (già vincitore del premio Dante Cappelletti XI edizione) più che mai attuale (soprattutto alla luce degli eventi accaduti in queste ultime settimane). Ciò che viene messo in risalto sono i punti di contatto tra la storia di questi uomini disagiati e la nostra, quella italiana, vista con gli occhi di giovani donne e uomini che hanno potuto ritrovarvi “parti” di sé, a conferma che le storie di migrazione sono simili in ogni tempo, paese, cultura.

I quattro giorni dedicati all’incontro con il pubblico (dal 4 al 7 luglio, presso lo Spazio Franco dei Cantieri Culturali di Palermo) avranno carattere multidisciplinare e metteranno al centro il teatro, il cinema, la musica, i laboratori e il cibo. Al progetto parteciperanno diverse realtà palermitane impegnate nel mondo del volontariato e del dialogo tra culture, come Moltivolti, Cooperazione Senza Frontiere, The Factory e Palermo Youth Center, il Teatro Biondo di Palermo e molte altre.

Uno spettacolo dunque il cui interesse è quello di mettere al centro la peculiarità e l’unicità di ognuno di questi attori; un'esperienza di eticità e moralità prima ancora che una prova d’attore.






Lavinia Alberti

domenica 27 maggio 2018

Buzzanca a Palermo per girare un nuovo film: “Non toccate questa casa!!!”


Una commedia tra il fantasy e il noir, di cui Manfredi Russo è il coregista




Ore 11 del mattino, giornata afosa e un sole abbagliante. Un uomo in camicia e jeans cammina lungo la riva della tonnara Bordonaro; neanche il tempo dell’arrivo della troupe che alcuni bagnanti riconoscono il soggetto: Lando Buzzanca.

L’attore siciliano in questi ultimi giorni di maggio ha scelto proprio Palermo e in particolare questo fascinoso luogo marino per girare il suo prossimo film intitolato “Non toccate questa casa!!!”.

La prima scena della mattinata è affidata proprio a Buzzanca, nei panni di uomo inquieto e interiormente lacerato, come se qualcosa gli sfuggisse dalle mani. Pochi minuti e via per il secondo ciak; questa volta l’attore palermitano non recita da solo dando le spalle al mare ma dialoga con una donna misteriosa: Francesca della Valle, donna nei confronti della quale mostra un’immediata intesa, tanto da non aver bisogno di rifare la scena. Non così si può dire per i successivi ciak, dal momento che i bagnanti sembrano non essere particolarmente perspicaci nel capire che per poter girare la scena non devono entrare in acqua. Ma le successive scene filano lisce, per fortuna.

Si tratta di una commedia noir e fantasy, scritta dallo sceneggiatore Giuseppe Romano, ambientata tra Bisacquino e Palermo, interpretata e diretta dallo stesso Buzzanca insieme a Manfredi Russo (coregista del lungometraggio). Personaggi centrali del film sono anche Francesca Della Valle (coprotagonista e compagna artistica, oltre che di vita di Buzzanca) e Maria Scicchigno (cantante).

La Direzione della fotografia è stata affidata invece a Pina Mastropietro, mentre l’assistente alla regia è Serena De Marzi, i direttori del suono Roberto Garilli, Seregni Steri e Veronica Randazzo. Il montaggio è stato curato da Davide Pellegrino; i costumi infine sono di Barbara Anselmo.

La storia è quella di Rocco Malfione, un uomo appena uscito dal carcere Ucciardone impelagato in vicende di mafia, di miseria e sentimenti, che troverà una via d’uscita “miracolosa” ai suoi problemi. 

Un lungometraggio di cui il coregista Russo si ritiene soddisfatto. "Per me essere stato chiamato dalla Production Buzzanca Della Valle, quale aiuto regia del Maestro Lando Buzzanca è un grande onore. Lavorare sul set con un Grande Maestro come Lando, ti consente di illuminare i pali degli infiniti viali della conoscenza. Riesce ad infondere la sua Arte partendo da un lavoro di verità del personaggio, è nella parte non soltanto quando da le battute con la voce, ma anche quando le tira fuori dall' anima riflettendole nella sua magnifica maschera. Altamente professionali anche tutte le altre figure tecniche che hanno preso parte a questo progetto".







Lavinia Alberti


domenica 20 maggio 2018

“Liolà”: quando la prosa si trasforma in coralità. Un omaggio al commediografo di Girgenti





Nell’anno del 150esimo dalla nascita di Luigi Pirandello il Teatro Biondo di Palermo non poteva chiudere in modo migliore la Stagione Teatrale 2018: con uno spettacolo dedicato proprio a lui, e lo fa mettendo in scena in modo del tutto originale “Liolà”, commedia campestre in tre atti, come fu definita dallo stesso autore agrigentino.

Si tratta di una narrazione con un taglio inusuale, che fonde perfettamente prosa, musica e movimenti scenici, che sin dalle prime battute è in grado di far “perdere” lo spettatore nella dimensione della finzione scenica, nelle sonorità e nelle varianti dialettali siciliane, interpretate in tutte le loro sfaccettature.

Sono questi gli ingredienti di un’opera che, benché audace da certi punti di vista (si pensi alla scelta di recitare l’intera commedia in dialetto, come anche all’utilizzo di certe coreografie simboliche) risulta nell’insieme abbastanza fedele al testo originale, scritto nel 1916 in dialetto agrigentino.

La commedia, ispirata a un episodio del quarto capitolo del romanzo Il fu Mattia Pascal, racconta le vicende di Liolà, (interpretato da Mario Incudine) un contadino il cui unico scopo sembra essere quello di sedurre e mettere incinta le ragazze delle campagne agrigentine, dei cui figli si fa carico affidandoli alla propria madre. Nel corso della commedia, il giovane contadino di Girgenti ingraviderà fra le altre Tuzza, nipote del ricco Zio Simone (magistralmente interpretato da Moni Ovadia, che funge anche da narratore introducendo la commedia con un breve prologo in lingua italiana); l’anziano possidente, dietro proposta dello stesso Liolà, vorrebbe far credere alla comunità di essere il padre del nascituro per nascondere la propria sterilità, assicurandosi così un erede legittimo della propria roba.

Un gioco raffinato e ben equilibrato di seduzioni e inganni, ma anche di pungenti e filosofiche battute è affidato – in parti che sembrano quasi cucite loro addosso - ai palermitani Paride Benassai nel ruolo di Pauluzzu (personaggio del folle-saggio introdotto dal regista e non presente nella commedia originale), a Rori Quattrocchi nel ruolo di Zà Ninfa, una nonna assai materna e oblativa, a Stefania Blandeburgo in quello di Zà Croce, una madre possessiva e calcolatrice cui importa molto poco la felicità della figlia.

Tali interpretazioni rendono quest’opera estremamente coinvolgente e comica (dai tratti quasi plautini e per certi aspetti verghiani); in questo senso un valore aggiunto e dunque un ruolo fondamentale per la riuscita della commedia ha svolto anche il monologo finale sulla morte scritto e recitato dal già citato Pauluzzu alias Paride Benassai, monologo che il pubblico sembra aver particolarmente apprezzato, forse perché corteggia ma sdrammatizza anche la morte.

Uno spettacolo sensorialmente ed emotivamente coinvolgente, quasi melodrammatico, che va oltre i tradimenti e le rocambolesche avventure di Liolà, oltre la prosa “piatta”, come le figurine da ombre cinesi in cui i personaggi vengono abilmente trasformati e i cui dialoghi diventano arie e recitativi accompagnati dalla musica che domina dall’inizio alla fine.
Degni di menzione sono quindi anche i movimenti scenici e le coreografie, curati da Dario La Ferla e con essi il coro di contadini e popolani interpretato dagli attori e danzatori del Teatro Ditirammu diretto da Elisa Parrinello, per non parlare della direzione musicale, curata da Antonio Vasta.
La commedia è stata definita dallo stesso Ovadia e Incudine “un’opera a tutto tondo, che mescola prosa e musica in una grande favola vicina al mondo dell’opera popolare. Il protagonista rappresenta la vita, il canto, la poesia, il futile ancorché necessario piacere. Lui è l’amore e la morte, il sole e la luna, il canto e il silenzio, il sangue e la ferita, incarna in sé il Don Giovanni di Mozart e il Dioniso della mitologia, governato dall’aria che fa ruotare il suo cervello come un firrialoru, un mulinello. È un uccello di volo, che teme la gabbia e volteggia da un amore all’altro senza mai posarsi troppo a lungo sopra un singolo ramo. Volteggia e canta continuamente, mirando tutti dall’alto, abbracciando, baciando, amoreggiando, sì, ma scansando scaltro le trappole della restrizione”.






Lavinia Alberti



Regia Moni Ovadia e Mario Incudine
Musiche originali Mario Incudine
Sc
ene Mario Incudine
Costumi Elisa Savi
LucFranco Buzzanca
Movimenti scenici e coreografie Dario La Ferla
Direzione musicale Antonio Vasta
Aiuto regista Alessandro Idonea
P
roduzione Teatro Biondo di Palermo in collaborazione con Teatro Garibaldi di Enna / Teatro Regina Margherita di Caltanissetta.



Musici Antonio Vasta (fisarmonica) Antonio Putzu (fiati) Manfredi Tumminello (corde)
Contadini e popolani Compagnia del Teatro Ditirammu diretto da Elisa Parrinello: Noa Blasini, Chiara Bologna, Elvira Maria Camarrone, Valentina Corrao, Francesco Di Giuseppe, Bruno Carlo Di Vita, Mattia Carlo Di Vita, Noa Flandina, Alessandra Ponente, Alessia Quattrocchi, Rita Tolomeo, Pietro Tutone, Fabio Ustica.





giovedì 26 aprile 2018

“Wsk-The Soundtrack”: il palermitano Salvo Ferrara firma la colonna sonora della serie noir


Un lavoro psichedelico e multisensoriale al centro della web serie del mistero, tra il sintetico e gli strumenti reali






< Mi affido alla musica, che parla a tutti e tutto riesce a descrivere, al di là dei recinti immaginari che chiamiamo «generi» […] E’ la materializzazione di questo mood, è la chiave d’interpretazione del mondo contemporaneo che con le mie composizioni cerco di rappresentare nel modo più diretto possibile, senza alcuna preclusione estetica. La musica, come dice Bjork «non è una questione di stili, ma di sincerità'». La sincerità necessaria a mutare le emozioni in un rincorrersi di suoni. Un rischio attraente, forse una sfida da incoscienti >.

Questo il punto di vista del compositore siciliano Salvo Ferrara, che con le sue composizioni – venute fuori tanto da una formazione classica quanto contemporanea - si propone di andare oltre ogni schema preconfezionato e oltre ogni standardizzazione sonora.

Al centro di questa anticonvenzionalità musicale è Wsk-The Soundtrack", suo ultimo lavoro discografico, realizzato in seguito al successo della colonna sonora composta per l’omonimo prodotto cinematografico noir: una web serie dal titolo “Wsk – The Series” diretta dal giovane regista palermitano Alois Previtera e prodotta da Social Movie Production e Poikilia.

Si tratta di un album molto eclettico, in cui si fondono sonorità elettro-grunge ed atmosfere psichedeliche arricchite da cori, pieni orchestrali ed organi liturgici. Diciannove le tracce che lo compongono e cinque le note del tema principale che rimarcano il senso di inquietudine, mistero e suspance del progetto.

Peculiarità dei brani in questione è la continua alternanza di pause e tensioni e di contaminazioni sonore, realizzate attraverso il sovrapporsi di strumenti reali sui contributi elettronici. Un sound finalizzato dunque a ricreare uno specifico mood, in funzione delle immagini, i cui ritmi sono scanditi da drum machines, da timbriche di riempimento e da sequenze mixate, queste ultime arrangiate e prodotte dallo stesso Ferrara, con la collaborazione di Cristiano Nasta.

Già apprezzata in diversi contest internazionali e vincitrice del premio “Best Editing” al Sicily Web Festival del 2017, la serie, ideata e scritta da giovani cineasti siciliani e palermitani in particolare, rappresenta una novità nel panorama cinematografico emergente contemporaneo grazie alla sua carica emotiva, le ambientazioni noir e l'incalzante ritmo narrativo.
Il compositore palermitano collabora ormai da diversi anni con filmmakers, documentaristi di fama e prestigiose istituzioni culturali, tra cui il Museo Salinas di Palermo, per il quale ha di recente composto le musiche di un videoclip per la presentazione della nuova Agorà.
Un progetto che parte dalla Sicilia, che si inserisce nell’anno in cui la città di Palermo diventa Capitale Italiana della Cultura, che sarà destinato per questo ad avere un respiro internazionale.



Lavinia Alberti

domenica 25 marzo 2018

"Bianco Cistite": una fusione di suggestioni poetiche e musicali


5 tracce all’interno del nuovo singolo del cantautore catanese. Tanti i riferimenti letterari.




“Bianco Cistite”. Questo il titolo del nuovo singolo del cantautore catanese Giovanni Ruggieri, contenente cinque tracce (Bianco Cistite, Andalusia, Porpora, Lacrime Elettriche, Irraccontabile) di recentissima uscita (9 marzo).
Si tratta di un artista a tutto tondo. Dopo lo studio del pianoforte in tenera età, negli anni a seguire, durante gli studi classici, comincia ad avvicinarsi al mondo poetico-letterario e musicale, passando da Baudelaire fino ad arrivare ai Doors, mostrando così il suo carattere estremamente eclettico; in età adolescenziale si dedica poi anche alla scrittura di poesie che diverranno funzionali alla stesura di nuove canzoni. Nel giro di pochi anni forma poi la sua prima band dalla quale inizierà il suo effettivo percorso di cantautore. Una volta scioltasi poi, comincia a comporre musica da solista, privilegiando l’utilizzo di chitarre, bassi, versi e parti vocali. Negli anni a seguire si avvicina poi anche al mondo teatrale, iscrivendosi all’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico) studiando recitazione, canto e dizione. 
Costanti modelli di riferimento per i suoi testi sono autori come Baudelaire, Shakespeare, Pirandello, Leopardi, in grado di suggerire al musicista le atmosfere ed i temi giusti per le sue melodie. 
Ciò che emerge dall’ascolto delle sue canzoni (e in particolare in questo brano, che dà il titolo all’album) sono una serie di elementi: eccesso, coraggio, paura, ironia, divertimento, amore, creatività, notte, luci: concetti antitetici tra loro, tutti essenza del suo animo, della sua creatività d’artista. 
In questo brano - il primo che Ruggieri compone da solista - confluiscono tutte queste componenti, per questo si tratta di un’opera estremamente poliedrica, sia dal punto di vista testuale, sia da quello musicale, le cui sonorità sono a tratti rock a tratti pop (con influssi sperimentali, quasi battiatiani).
Si tratta di un brano nato dalla visione di una scena reale: “una sera – racconta Ruggieri – mentre ero insieme ad alcuni amici osservavo un tipo provarci invano con una ragazza, ho domandato: mi passereste quella bottiglia di vino bianco... Bianco... Bianco Cistite! I ragazzi scoppiarono a ridere e, in quel momento, provai a intonare quello che sarebbe stato proprio il primo verso: sembrò subito piacere moltissimo”. 
In “Bianco Cistite” l’artista utilizza il vino come un simbolo, un espediente portatore di tantissimi significati celati; esso incarna infatti la sete di conoscenza, quella conoscenza capace di elevarci al di là delle piccole cose della vita, di cambiare le circostanze e quindi anche noi stessi. Per il musicista “essere disposti a berlo significa volere essere pre-disposti a volere conoscere, volere conoscere altro, l'altro e quindi, anche se stessi, ma anche qualcos’oltre.”
Il video realizzato da Daniele Gangemi, con la collaborazione della Duecentouno Production, è stato girato nel centro storico di Catania, come si può vedere dalle ampie panoramiche riservate al video. 
Le tematiche prendono liberamente ispirazione dal celebre romanzo di Pirandello “Uno, Nessuno, Centomila” in cui il protagonista scopre, grazie alla moglie, di avere il naso storto. Non avendo mai notato questo dettaglio, entra in un vortice di pensieri che lo conducono alla consapevolezza di non essere per gli altri come egli pensava di essere. 
In altri termini il senso del brano, come ha dichiarato Ruggieri, è che noi “possiamo conoscere solo ciò a cui riusciamo a dare forma, ma scopriamo anche che una forma, appena è-siste, cessa di essere vera e diventa una maschera. Ed è proprio quando vediamo le persone, gli altri, in "forma" credendo di contemplarne anche l'esistenza, che ci inganniamo. Ed ecco che un uomo può essere uno, nessuno e centomila e non solo per gli altri, che per conoscerci devono in-formarci, ossia darci una forma, ma anche per noi stessi che credevamo di essere “uno solo per tutti”; ed invece, poi, ci accorgiamo che siamo e possiamo essere centomila. Dov’è dunque la verità?"
“Bianco Cistite” sembra insomma essere la metafora musicale delle parole di Baudelaire “Ubriacatevi, non importa di cosa, se di vino, di poesia o di virtù, ma ubriacatevi sempre!…”



Lavinia Alberti


Regia: Daniele Gangemi
Testo e musica: Giovanni Ruggieri
Assistente alla regia: Roberta Finocchiaro
Montaggio: Duecentouno Production 
Preproduzione: Riccardo Samperi, Pierpaolo Latina, Giovanni Ruggieri
Produzione esecutiva: Emanuele Diana 
Produzione artistica: Riccardo Samperi 
Trucco: Serena Daminelli
Riprese drone: Luca Barone
Segretaria di edizione: Cristina Cocuzza.
Chitarre: Riccardo Samperi; Basso: Giovanni Ruggieri; Batteria: Antonio Moscato; Backing vocal: Peppe Scalia Sinth e Pierpaolo Latina.

domenica 25 febbraio 2018

"Soul Twister", quando l’antico e il contemporaneo si fondono


 Tante anime all'interno del brano e un misto di stili musicali: classica, popolare, contemporanea e fingerstyle.





Poco più di 4 minuti per essere trasportati verso melodie evocative, ritmi incalzanti, armonie suggestive e pause inaspettate.

Sono questi i quattro tratti peculiari di Soul Twister, neonato brano del Renna Gilè Guitar Duo, formato da Nicolò Renna e Alfredo Gilè, musicisti di formazione classica; si tratta di un duo nato da una precisa esigenza: quella di raccontare frammenti di bellezza universale attraverso la musica.

La ricerca dei due musicisti, ispirata da una conoscenza maturata negli anni, si basa su una sensibilità armonica e melodica che dà vita ad un repertorio il cui equilibrio trova spazio tra le composizioni barocche e brani scritti appositamente per la chitarra.
Peculiarità di Soul Twister consiste nel fatto che esso si basa sul fascino dell’inaspettato.

Il brano in questione è stato scritto infatti di getto, in totale libertà creativa: l’intenzione sin dal suo concepimento infatti, non è quella di creare qualcosa di preciso, ma di emotivo, di libero ed evocativo.

Una traccia dunque dalla genealogia molto particolare. L’idea di questo prodotto musicale nasce infatti all’inizio del mese di gennaio, a scuola, durante le ore di insegnamento di Renna; proprio da lì ha preso forma pian piano la prima “cellula”, che ha dato vita a un misto di stili musicali: classica, popolare, contemporanea e fingerstyle.

Strutturato in modo estremamente dinamico, Soul Twister presenta al suo interno momenti più “giocosi” (nella prima metà del brano) e momenti più “solenni” e meditativi (nella seconda metà dello stesso). Uno stile insomma che fonde magistralmente l’elemento lirico e quello melodico.

Particolarità del videoclip consiste poi nel fatto che esso è interamente costruito nell’intento di “guidare” il fruitore e suscitare in lui visioni e curiosità attraverso i ritmi coinvolgenti degli strumenti a corda.
Un grande impatto emotivo e visivo hanno anche le immagini: sullo sfondo vengono infatti inquadrati paesaggi marini siciliani, resi particolarmente suggestivi grazie al montaggio, realizzato dallo stesso Renna.

Al termine del videoclip vi sono poi i quattro assi, simbolo della massima espressione umana, capaci di vincere su ogni cosa. Il messaggio che Renna e Gilè vogliono trasmettere con queste loro sonorità, appare dunque evidente: “possiamo continuamente evolverci verso ogni cosa ma sta a noi trasformare in qualcosa di unico e duraturo nel tempo le nostre capacità latenti”.













Lavinia Alberti