martedì 29 marzo 2016

La "Bohemian Rhapsody" dei Queen interpretata dal Duo Sciacca-Bartolotta







Il già noto Canale Youtube di Chitarra Classica Italia, sorto per volontà del chitarrista italiano Nicolò Renna, dopo il primo brano lanciato lo scorso 26 febbraio, magistralmente interpretato dal 90100 Guitar duo (N.Renna-A.Argento), questa volta ha scelto di lanciare in rete un brano molto particolare e insolito per un repertorio chitarrisatico. Si tratta del video del Guitar Duo formato da Salvatore Sciacca e Angelo Bartolotta interpretato in una versione originale della leggendaria Bohemian Rhapsody dei Queen, con un arrangiamento curato dallo stesso chitarrista Sciacca.

Con questo brano siamo di fronte a una composizione molto suggestiva. Nell’arrangiamento infatti possiamo ascoltare la melodia principale distribuita fra le due chitarre in modo da creare un dialogo fra i due strumenti che si fa a tratti più intenso e altre volte più disteso; ciò che si nota, inoltre, è che le successioni armoniche si fondono perfettamente con la melodia principale in modo da rendere un ascolto fluido ed omogeneo. A rendere particolare il brano in questione è anche l’uso delle dinamiche e dei timbri tipici della chitarra classica che sono rappresentati in questo arrangiamento in modo tale da portare il brano a una sonorità classica ma allo stesso tempo attuale dal punto di vista dell’approccio interpretativo.

Con Sciacca e Bartolotta siamo dunque di fronte a due talentuosi esecutori, desiderosi un po’ come tutti gli artisti di trasmettere la loro arte.

Salvatore Sciacca, classe, 1979, nato a Ludwigshafen in Germania, si è diplomato all’età di 21 anni presso il Conservatorio “V.Bellini” di Caltanissetta sotto la preparazione del Maestro F. Buzzurro.


Dopo il conseguimento del diploma ha effettuato insegnamenti di chitarra classica ed acustica, inoltre ha approfondito generi di musica che vanno dal Jazz, alla musica brasiliana, e alla più vicina musica folklorica siciliana, incidendo anche dei CD.
Nel campo classico, ha svolto numerosi corsi di perfezionamento con chitarristi di fama internazionale come Pablo Marquez, Alberto Ponce, Stefano Palamidessi, Alirio Diaz, Maurizio Colonna.
 Per quanto riguarda il jazz, si è specializzato con chitarristi straordinari come Richard Smith, Steave Trovato, Gigi Cifarelli.
Inoltre ha partecipato a svariati festival nazionali ed internazionali in Belgio, Ungheria, Polonia, Spagna, Francia, Sardegna, Repubblica Ceca, conseguendo sempre ottimi risultati e notevoli riconoscimenti. Ha inoltre frequentato L’Ars Accademy (corso triennale di alto perfezionamento) di Roma, sotto la cura del maestro S. Palamidessi.

Ad oggi, porta avanti un progetto, ideato ed arrangiato da lui, per due chitarre di brani pop più famosi degli anni 80 e 90. Attualmente insegna chitarra classica presso l’Istituto Comprensivo “V.Brancati” di Favara.

Angelo Bartolotta, classe 1984, agrigentino, intraprende da giovanissimo gli studi musicali sotto la guida del M° Salvatore Sciacca. Si diploma in chitarra classica con il massimo dei voti presso l'Istituto Superiore di Studi Musicali "A. Toscanini " di Ribera sotto la guida del M° Riccardo Ferrara. Formatosi anche attraverso l’esperienza dei Masterclass ha avuto modo di approfondire gli studi di tecnica e stile esecutivo con diversi Maestri tra cui Vladimir Mikulka e Claudio Piastra.

Attualmente è insegnante di chitarra presso l'Istituto Comprensivo "Agrigento Bassa Est”. La sua attività concertistica lo vede impegnato ad esibirsi da solista e come componente di vari ensembles cameristici in tutto il territorio nazionale e per conto di note associazioni musicali, culturali e di volontariato.

I due musicisti sin dall’inizio di questo progetto hanno mostrato un grande entusiasmo; Sciacca in particolar modo a proposito della sua scelta interpretativa, ha espresso queste parole: “Ho voluto inserire questo brano per la sua particolare struttura a forma di suite che mi ha subito proiettato a farne un adattamento per due chitarre, sfruttando tutte le risorse timbriche ed espressive e, cercando di renderlo quasi una composizione originale per chitarra”.



                                                                                                                 Lavinia Alberti

                                                                                                        

sabato 19 marzo 2016

Carmelo Russotto: giovane talento siciliano conquista il Teatro San Carlo di Napoli






Tra i giovani artisti attivi all’interno del panorama musicale siciliano, un posto importante spetta a Carmelo Russotto. Il giovane percussionista palermitano, classe 1995, inizia a studiare le percussioni classiche nel 2009, all’età di quattordici anni presso il Conservatorio V. Bellini di Palermo sotto la guida del Maestro Giuseppe Cataldo, compositore e direttore d’orchestra molto apprezzato in ambito internazionale.

Il valido e poliedrico musicista in passato ha ottenuto diversi riconoscimenti. L’anno di certo più prolifico per Russotto è stato il 2015, in cui è stato vincitore all’audizione per l’Orchestra Sinfonica Nazionale dei Conservatori d’Italia.

A partire dal 15 giugno dello stesso anno ha ricoperto una serie di incarichi nelle vesti di percussionista tastierista. Il 6 luglio ha partecipato infatti al Concerto svoltosi al Teatro Nuovo di Udine con l’Orchestra Sinfonica Nazionale dei Conservatori d’Italia sotto la direzione del Maestro Giuseppe Grazioli. Sotto la guida di quest’ultimo, dal 20 al 29 ottobre ha anche partecipato alla Tournée in Trieste-Serbia-Slovenia e Croazia con l’Orchestra Sinfonica Nazionale dei Conservatori d’Italia; dal 27 novembre al 7 dicembre è stato inoltre impegnato con l’Orchestra Giovanile Mediterranea in Libano nelle città di Beirut, Tripoli, Hadat-Baabda, in occasione del Beirut chants Festival con la Filarmonica Libanese, sotto la direzione dei Maestri Toufic Maatouc, Sebastien Bagnoud e Alberto Maniaci. Da settembre 2015 è attentamente seguito dal Maestro Claudio Cavallini, percussionista e tastierista del Teatro La Fenicia di Venezia.


Russotto si è anche esibito nei mesi passati al Teatro Massimo di Palermo, realizzando innumerevoli concerti. L’artista vincitore all’audizione come percussionista al Teatro San Carlo di Napoli, è stato accompagnato in questo suo percorso sino ad ora da grandi talenti del mondo musicale locale e non solo, per questo ha sentito la necessità di ringraziare i suoi maestri, in particolare il Maestro Giuseppe Cataldo di Palermo a cui deve molto (avendolo avviato alla professione e seguito in ogni tappa) e Claudio Cavallini di Venezia, sotto il quale si sta ancora perfezionando.
Il giovane musicista con questa sua vittoria personale rappresenta dunque per noi un esempio, e lancia un messaggio di speranza a tutti i giovani artisti che come lui amano l’arte. Queste infatti le sue parole:
"Il messaggio che vorrei dare ai giovani musicisti che si accingono ad iniziare questa dura carriera come me è che nella musica, come nelle altre attività umane, bisogna credere fino in fondo in quello che si fa, anche di fronte alle difficoltà evidenti; credere nella vittoria assoluta, soprattutto nell’Italia di oggi che sembra aver dimenticato i giovani".

Lavinia Alberti

giovedì 17 marzo 2016

La "Dipartita Finale" portata in scena dai tre grandi del teatro italiano


Dopo l’apprezzata edizione di Finale di Partita di Beckett del 2006, Franco Branciaroli firma questa volta un’opera il cui titolo è esattamente speculare: Dipartita Finale.

Si tratta di un nuovo testo legato al tema dell’assurdo, una messa in scena che vede protagonisti tre clochard, Pol, Pot e il Supino.
Giunti alla fine dei loro giorni, i tre - i cui ruoli sono magistralmente impersonati rispettivamente dai tre celebri attori italiani: Gianrico Tedeschi (96 anni), Ugo Pagliai (78) Maurizio Donadoni (59), si trovano alle prese con le “ultime questioni” cui li costringe Totò - la morte - interpretata dallo stesso regista.
I barboni, accampati in una baracca sulle rive del Tevere, immaginano di rifugiarsi dall’imminente catastrofe della fine del mondo. Pol e Pot consapevoli della fine, l’attendono e la desiderano con timore; il Supino, invece, si crede eterno e può ancora permettersi di filosofeggiare e riflettere sul senso della sua esistenza e fare progetti per il futuro. 



L’amara ironia che attraversa questa storia la rende “lunare”, rappresentativa di una umanità povera di valori – condizione diffusa dei nostri tempi – attaccata alla misera speranza.

Dalla necessità che li costringe a vivere insieme, perseguita con strumenti irresistibilmente divertenti, emerge proprio la speranza, vera forza dell’uomo, che riserverà ai nostri clochard un finale a sorpresa.

La commedia, prodotta dal CTB Centro Teatrale Bresciano e dal Teatro de Gli Incamminati, sarà in scena al Teatro Biondo di Palermo fino al 24 marzo. Si tratta di un’opera che è senz’ombra di dubbio una vera e propria prova d’attore, i cui dialoghi e le cui battute fanno riflettere lo spettatore sul senso del tempo e della vita; essa vuole dunque essere più in generale una meditazione sulla mancanza di religione e sulla scomparsa di Dio, soppiantato qui dall’avanzare della scienza.

Siamo di fronte dunque a una commedia esplicitamente beckettiana, e per certi versi anche bergmaniana, proprio per la dicotomia vita-morte, ateismo-religione, in cui i paradossi e le visioni stralunate sono all’ordine del giorno.

Di bergmaniano c’è inoltre la personificazione della morte, che vede un Branciaroli avvolto dal nero. Che sia una storia in cui si tocca con mano la totale sfiducia nella fede lo confermano le parole del regista sono una conferma:



«Ci si difende dall’angoscia da sempre. L’angoscia è la mancata perfezione della vita. Affidarsi a Dio, venirne uccisi per salvarsi, addirittura ucciderlo per questo: finora. È morto, adesso, per chi lo percepisce davvero. Non morto per noi, non più; scomparso. I più lo ignorano nel profondo perché indifferenti. Con Lui tutto ciò che è assoluto valore è scomparso. Però l’angoscia resta e cresce: vieppiù. La realtà è senza ideale, la natura senza luce. Ebbene, l’opera d’arte (sperando che sia arte) deve essere capace, oggi, di suscitare in qualcuno la convinzione che in essa sia presente quel senso ultimo del mondo che è il trovarsi privi di Dio; e naturalmente la disperazione che ne consegue. […] Ci si difende dall’angoscia cercando la forza più potente: il sapere umano, o meglio, la “tecnica” che ne è conseguenza. Si potrà diventare anche immortali. Tutti i limiti saranno valicati. Immortale non è eterno; qualcuno tenterà di lasciare aperta la porta al divino, al passato di una cultura immensa da cui non si può prendere un definitivo congedo».




Lavinia Alberti

mercoledì 9 marzo 2016

Com'è cambiata la nostra relazione con l'arte?



Se è vero che nel corso di questi decenni la società è andata cambiando così vorticosamente negli usi e nei costumi, ciò è ancor più evidente nell’arte.
Ad essere mutata negli ultimi tempi è stata non solo la generazione dei più giovani, nativi digitali, e soprattutto la fascia dei ventenni e trentenni, ma anche quella dei cinquantenni e oltre.
Nell’era della multimedialità, dei “bombardamenti” informatici e televisivi di infima qualità, dell’immediata fruizione visiva e sonora, sembra si stia andando verso una società sempre più dinamica e sempre più “dipendente” dai mezzi tecnologici.

Oggi si sta assistendo a uno scenario abbastanza singolare: da un lato si crede infatti che tramite questi dispositivi mediatici (tablet, smarthphone, Ipad) ci si possa documentare su ogni tipo di argomento e avere ogni tipo di informazione, dall’altro non ci si rende conto che questo immediato soddisfacimento delle proprie curiosità non porta ad altro se non a un impigrimento del nostro spirito di ricerca; acquisendo dei dati nel momento in cui ci servono quelle determinate nozioni, si rischia infatti di non far sedimentare a sufficienza queste ultime.
Ciò che è ancora più allarmante è non soltanto l’uso che si fa di questi dispositivi (spesso e volentieri si prendono notizie da internet o in molti casi da fonti di dubbia origine), ma soprattutto l’abuso.






Il modo di ascoltare la musica e di vivere gli eventi ad essa connessi è strettamente legato allo sviluppo e all’impatto che i media hanno sulle nuove generazioni. Chiunque si sarà accorto che buona parte dei ragazzi (per non dire quasi tutti) in qualsiasi contesto si trovi – un cinema o un teatro - e con chiunque, sia perennemente connesso a dispositivi elettronici in cui è possibile ascoltare musica o guardare video.
Per fare un esempio, molti ragazzi per andare ad ascoltare il loro cantante preferito e per testimoniare la loro presenza non si limitano a seguire l’esecuzione, a goderne la magia e dunque l’aura che il musicista può trasmettere, ma preferiscono documentare quel momento con uno smartphone o una telecamera.






Oggi, nell’era delle app che incentivano
una fruizione immediata, del tutto e subito, si ascolta la musica su piattaforme digitali, in canali come ITunes, Youtube, Spotify, ci si scambia file musicali scaricati dal web, con il risultato di un danneggiamento del mercato discografico.
A proposito di app, tra le innovazioni recenti vi è quella della River Oaks Chamber Orchestra di Houston che ha lanciato Octava, un’applicazione da scaricare su smartphone e tablet per guidare gli spettatori all’ascolto della musica in diretta; essa consente (per quanto riguarda i concerti classici) di documentarsi in loco sul concerto, sul compositore, sulla composizione e persino di seguire l’andamento della partitura.
 A questo punto la domanda sorge spontanea: c’è davvero bisogno di tutto questo? E’ proprio necessario farne un uso così massiccio (per non dire sconsiderato in molti casi) e dunque vivere molti eventi della propria vita tramite il filtro di uno schermo o di una telecamera? Non si rischia di svilire la grandezza dell’evento e di serializzarlo?
Paradossalmente il fatto che negli ultimi decenni siano nati nuovi mezzi di fruizione musicale e siano diventati sempre più sofisticati oggetti come l’mp3, l’mp4, l’Ipod, l’Ipad, i tablet e gli smartphone, ha fatto sì che questi abbiano assunto una parvenza di “sacro”, quasi fossero dei gioielli da custodire da cui non ci si può separare.
Proprio perché viviamo in un’era “smartphonecentrica” almeno per quanto riguarda gli eventi culturali, dovremmo fare in modo da lasciare fuori i nostri dispositivi da quei momenti unici che solo l’arte ci può dare, proprio perché per definizione essa è una magia le cui emozioni non possono e non devono essere spezzate.


 Lavinia Alberti