Se è vero che nel corso
di questi decenni la società è andata cambiando così vorticosamente negli usi e
nei costumi, ciò è ancor più evidente nell’arte.
Ad essere mutata negli
ultimi tempi è stata non solo la generazione dei più giovani, nativi digitali, e
soprattutto la fascia dei ventenni e trentenni, ma anche quella dei
cinquantenni e oltre.
Nell’era della
multimedialità, dei “bombardamenti” informatici e televisivi di infima qualità,
dell’immediata fruizione visiva e sonora, sembra si stia andando verso una
società sempre più dinamica e sempre più “dipendente” dai mezzi tecnologici.
Oggi si sta assistendo a
uno scenario abbastanza singolare: da un lato si crede infatti che tramite
questi dispositivi mediatici (tablet, smarthphone, Ipad) ci si possa
documentare su ogni tipo di argomento e avere ogni tipo di informazione,
dall’altro non ci si rende conto che questo immediato soddisfacimento delle
proprie curiosità non porta ad altro se non a un impigrimento del nostro
spirito di ricerca; acquisendo dei dati nel momento in cui ci servono quelle
determinate nozioni, si rischia infatti di non far sedimentare a sufficienza
queste ultime.
Ciò che è ancora più
allarmante è non soltanto l’uso che si fa di questi dispositivi (spesso e
volentieri si prendono notizie da internet o in molti casi da fonti di dubbia origine),
ma soprattutto l’abuso.
Il modo di ascoltare la
musica e di vivere gli eventi ad essa connessi è strettamente legato allo
sviluppo e all’impatto che i media hanno sulle nuove generazioni. Chiunque si
sarà accorto che buona parte dei ragazzi (per non dire quasi tutti) in
qualsiasi contesto si trovi – un cinema o un teatro - e con chiunque, sia
perennemente connesso a dispositivi elettronici in cui è possibile ascoltare
musica o guardare video.
Per fare un esempio,
molti ragazzi per andare ad ascoltare il loro cantante preferito e per
testimoniare la loro presenza non si limitano a seguire l’esecuzione, a goderne
la magia e dunque l’aura che il musicista può trasmettere, ma preferiscono
documentare quel momento con uno smartphone o una telecamera.
una fruizione immediata, del tutto e subito, si ascolta la
musica su piattaforme digitali, in canali come ITunes, Youtube, Spotify, ci si
scambia file musicali scaricati dal web, con il risultato di un danneggiamento
del mercato discografico.
A proposito di app, tra
le innovazioni recenti vi è quella della River Oaks Chamber Orchestra di
Houston che ha lanciato Octava,
un’applicazione da scaricare su smartphone e tablet per guidare gli spettatori
all’ascolto della musica in diretta; essa consente (per quanto riguarda i
concerti classici) di documentarsi in loco sul concerto, sul compositore, sulla
composizione e persino di seguire l’andamento della partitura.
A questo punto la domanda sorge spontanea: c’è
davvero bisogno di tutto questo? E’ proprio necessario farne un uso così
massiccio (per non dire sconsiderato in molti casi) e dunque vivere molti
eventi della propria vita tramite il filtro di uno schermo o di una telecamera?
Non si rischia di svilire la grandezza dell’evento e di serializzarlo?
Paradossalmente il fatto
che negli ultimi decenni siano nati nuovi mezzi di fruizione musicale e siano diventati
sempre più sofisticati oggetti come l’mp3, l’mp4, l’Ipod, l’Ipad, i tablet e gli
smartphone, ha fatto sì che questi abbiano assunto una parvenza di “sacro”,
quasi fossero dei gioielli da custodire da cui non ci si può separare.
Proprio perché viviamo in
un’era “smartphonecentrica” almeno per quanto riguarda gli eventi culturali,
dovremmo fare in modo da lasciare fuori i nostri dispositivi da quei momenti unici
che solo l’arte ci può dare, proprio perché per definizione essa è una magia le
cui emozioni non possono e non devono essere spezzate.
Lavinia Alberti
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