Nell’anno del 150esimo
dalla nascita di Luigi Pirandello il Teatro Biondo di Palermo non poteva
chiudere in modo migliore la Stagione Teatrale 2018: con uno spettacolo
dedicato proprio a lui, e lo fa mettendo in scena in modo del tutto originale “Liolà”, commedia campestre in tre atti,
come fu definita dallo stesso autore agrigentino.
Si tratta di una
narrazione con un taglio inusuale, che fonde perfettamente prosa, musica e
movimenti scenici, che sin dalle prime battute è in grado di far “perdere” lo
spettatore nella dimensione della finzione scenica, nelle sonorità e nelle
varianti dialettali siciliane, interpretate in tutte le loro sfaccettature.
Sono questi gli
ingredienti di un’opera che, benché audace da certi punti di vista (si pensi
alla scelta di recitare l’intera commedia in dialetto, come anche all’utilizzo
di certe coreografie simboliche) risulta nell’insieme abbastanza fedele al
testo originale, scritto nel 1916 in dialetto agrigentino.
La commedia, ispirata a un episodio del quarto
capitolo del romanzo Il fu Mattia Pascal,
racconta le vicende di Liolà, (interpretato da Mario Incudine) un contadino il
cui unico scopo sembra essere quello di sedurre e mettere incinta le ragazze
delle campagne agrigentine, dei cui figli si fa carico affidandoli alla propria
madre. Nel corso della commedia, il giovane contadino di Girgenti ingraviderà fra
le altre Tuzza, nipote del ricco Zio Simone (magistralmente interpretato da
Moni Ovadia, che funge anche da narratore introducendo la commedia con un breve
prologo in lingua italiana); l’anziano possidente, dietro proposta dello stesso
Liolà, vorrebbe far credere alla comunità di essere il padre del nascituro per nascondere
la propria sterilità, assicurandosi così un erede legittimo della propria roba.
Un gioco raffinato e ben equilibrato di seduzioni e
inganni, ma anche di pungenti e filosofiche battute è affidato – in parti che
sembrano quasi cucite loro addosso - ai palermitani Paride Benassai nel ruolo
di Pauluzzu (personaggio del folle-saggio introdotto dal regista e non presente
nella commedia originale), a Rori Quattrocchi nel ruolo di Zà Ninfa, una nonna
assai materna e oblativa, a Stefania Blandeburgo in quello di Zà Croce, una
madre possessiva e calcolatrice cui importa molto poco la felicità della
figlia.
Tali interpretazioni rendono quest’opera estremamente coinvolgente
e comica (dai tratti quasi plautini e per certi aspetti verghiani); in questo
senso un valore aggiunto e dunque un ruolo fondamentale per la riuscita della
commedia ha svolto anche il monologo finale sulla morte scritto e recitato dal
già citato Pauluzzu alias Paride Benassai, monologo che il pubblico sembra aver
particolarmente apprezzato, forse perché corteggia ma sdrammatizza anche la
morte.
Uno spettacolo
sensorialmente ed emotivamente coinvolgente, quasi melodrammatico, che va oltre
i tradimenti e le rocambolesche avventure di Liolà, oltre la prosa “piatta”,
come le figurine da ombre cinesi in cui i personaggi vengono abilmente
trasformati e i cui dialoghi diventano arie e recitativi accompagnati dalla
musica che domina dall’inizio alla fine.
Degni di menzione sono quindi anche
i movimenti scenici e le coreografie, curati da Dario La Ferla e con essi il
coro di contadini e popolani interpretato dagli attori e danzatori del Teatro
Ditirammu diretto da Elisa Parrinello, per non parlare della direzione
musicale, curata da Antonio Vasta.
La commedia è stata definita dallo stesso Ovadia e
Incudine “un’opera a tutto tondo, che
mescola prosa e musica in una grande favola vicina al mondo dell’opera
popolare. Il protagonista rappresenta la vita, il canto, la poesia, il futile
ancorché necessario piacere. Lui è l’amore e la morte, il sole e la luna, il
canto e il silenzio, il sangue e la ferita, incarna in sé il Don Giovanni di
Mozart e il Dioniso della mitologia, governato dall’aria che fa ruotare il suo
cervello come un firrialoru, un mulinello. È un uccello di volo, che teme la
gabbia e volteggia da un amore all’altro senza mai posarsi troppo a lungo sopra
un singolo ramo. Volteggia e canta continuamente, mirando tutti dall’alto,
abbracciando, baciando, amoreggiando, sì, ma scansando scaltro le trappole
della restrizione”.
Lavinia
Alberti
Musiche originali Mario Incudine
Scene Mario Incudine
Costumi Elisa Savi
Luci Franco Buzzanca
Movimenti scenici e coreografie Dario La Ferla
Direzione musicale Antonio Vasta
Aiuto regista Alessandro Idonea
Produzione Teatro Biondo di Palermo in collaborazione con Teatro Garibaldi di Enna / Teatro Regina Margherita di Caltanissetta.
Musici Antonio Vasta (fisarmonica) Antonio Putzu (fiati) Manfredi Tumminello (corde)
Contadini e popolani Compagnia del Teatro Ditirammu diretto da Elisa Parrinello: Noa Blasini, Chiara Bologna, Elvira Maria Camarrone, Valentina Corrao, Francesco Di Giuseppe, Bruno Carlo Di Vita, Mattia Carlo Di Vita, Noa Flandina, Alessandra Ponente, Alessia Quattrocchi, Rita Tolomeo, Pietro Tutone, Fabio Ustica.
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