Dopo Cesare deve morire,
Orso d'oro al Festival di Berlino del 2012, i fratelli Paolo e Vittorio Taviani propongono Maraviglioso Boccaccio, in
uscita nelle sale dal 26 febbraio.
Il nuovo film dei fratelli
Taviani, affronta un tema già ben noto al pubblico: le novelle del Decameron di
Boccaccio. Sin dalle prime inquadrature, lo spettatore viene guidato e
trasportato, sia musicalmente che visivamente, nell’ambiente, nella cultura e
nelle usanze fiorentine del ‘300.
Dalle prime riprese, dal basso
all’alto e dai campi lunghi, (che sembrano quasi dei quadri) ma anche dalle
musiche utilizzate, lo spettatore capisce quasi subito che si tratta di
un’opera che porta la firma dei due fratelli fiorentini.
Il film si presenta sin da subito
scorrevole e dunque di facile fruizione; pur trattando un tema che per alcuni potrebbe
sembrare poco stimolante o di poco interesse come quello del racconto delle
varie novelle da parte dei protagonisti, nell’insieme risulta molto efficace ed
è capace di incuriosire, e accattivarsi l’attenzione del pubblico più “ostile”
a questo genere di film. Merito di tutto ciò è non soltanto l’abile regia dei
registi fiorentini, ma anche la colonna sonora (il commento musicale è infatti
affidato a musiche composte dai Taviani e a quelle di repertorio di Mozart),
che si fonde perfettamente alle immagini contribuendo così al coinvolgimento
emotivo del pubblico.
Il film è del tutto fedele
all’opera boccaccesca. Esso inizia descrivendo l’ambiente cittadino fiorentino
e il suo relativo contesto storico: la peste che si abbattè nel 1348 su
Firenze. Successivamente la scena si sposta nelle campagne fiorentine (in una
villa abbandonata sulle colline toscane), dove si recano sette ragazze e tre
ragazzi per sfuggire all’epidemia di peste, alla disillusione della loro epoca
e per ritrovare i valori perduti.
Per non annoiarsi e per
utilizzare il loro tempo in maniera utile, decidono così di raccontarsi a turno
una novella al giorno, secondo il tema stabilito il giorno prima; Delle cento
novelle boccaccesche, solo cinque verranno raccontate nel film. Le storie da
loro raccontate, sono molto varie: si va infatti dalle storie di tono tragico,
a quelle di tono bizzarro, comico, fino a quelle erotiche.
Ciò che si nota all’interno del
film, è il fatto che sono le donne che hanno il ruolo centrale, tant’è vero che
tutto parte da loro; è lo stesso Antonio Taviani a dirlo:
«Il film è completamente al femminile, sono loro che decidono di uscire
da Firenze, sono loro che decidono di ingannare il tempo e la morte
raccontandosi novelle e sono sempre loro che con l’amore, la fantasia, i
racconti, riacquistano fiducia nel futuro, decidendo poi di tornare a Firenze»
Le novelle vengono raccontate in
maniera alternata: si inizia con la storia di Gentile Carisendi, una novella di
passione e rivincita, i cui interpreti sono Riccardo Scamarcio nel ruolo di
Carisendi che riporta l’amata in vita, e Vittoria Puccini nel ruolo di
Catalina. La novella seguente si presenta invece dal tono comico e ironico e
descrive la ben nota storia di Calandrino, un artigiano con la fama di stupido
e sempliciotto, un uomo che si crede furbo, ma che viene beffato dai due amici
Bruno e Buffalmacco.
Il pubblico quasi non riconosce
Kim Rossi Stuart (abituato a interpretare ben altri ruoli), che nelle vesti di
Calandrino, non lo aveva quasi mai visto, almeno in un film dei Taviani.
Segue poi la novella dal tono più
mesto e cupo, quella di Tancredi e Ghismunda, i cui ruoli sono interpretati
rispettivamente da Lello Arena e Kasia Smutniak. Il ruolo di Goffredo è invece
affidato a Michele Riondino, ben interpretato e soprattutto calzante per questo
ruolo.
La storia, anche questa ben nota,
racconta la vicenda dell’amore tormentato di Ghismunda e Goffredo, che vede
continui ostacoli proprio a causa degli ostacoli del padre Tancredi. Il finale
della novella sarà amaro e tragico; il padre ucciderà l’amato della figlia, prendendogli
il cuore, e Ghismunda per la profonda infelicità si suiciderà invogliando del
veleno.
Con la quarta novella si ritorna
di nuovo a un tono comico, ironico e grottesco. La storia è infatti quella di
alcune badesse, monache di clausura che, ancora giovani e piacenti, in quanto
esseri umani fatti di carne ed ossa, non possono far a meno di cedere ai
piaceri della carne.
Tutta la novella viene descritta
e soprattutto interpretata in chiave grottesca e caricaturale, tanto da
suscitare nel pubblico in sala (grazie anche alle battute comiche recitate con
l’accento fiorentino) grandi risate e in certi casi commenti. La novella,
seppur in maniera sottile e arguta, vuole essere chiaramente un “attacco” alla
chiesa, e vuole far riflettere su quanto a volte anche la Chiesa (dietro le
apparenze e i riti di facciata) sia spesso ipocrita. Il messaggio di Boccaccio
d’altronde era ben chiaro su questo.
A rendere il tutto più comico e grottesco nel film, è la recitazione e il volto di Paola Cortellesi, che interpreta una delle badesse: Usimbalda la quale, anche lei come molte altre, verrà alla fine scoperta per aver commesso suoi “peccati”. La Cortellesi svolge forse il ruolo centrale, proprio perché è presente in molte scene della novella; è infatti dal suo volto e dalle sue battute che provengono le risate e i commenti del pubblico in sala.
Infine l’ultima novella, che si
colloca a conclusione del film, racconta invece la storia di Federigo degli
Alberighi, un giovane innamorato, il cui ruolo è affidato a Josafat Vagni e di una nobildonna, Giovanna,
interpretata da Jasmine Trinca che però in quanto madre non contraccambia il suo amore. Si tratta
di una novella dai toni dolceamari: il
protagonista infatti, un nobile decaduto, sacrifica
infatti il suo unico bene, un magnifico falcone da caccia, per onorare la sua
ospite Giovanna.
Il
film si chiude così come si è aperto: con una storia d’amore impossibile
risoltasi in un lieto fine.
Narrando la fuga nella campagne da parte dei dieci ragazzi,
i Taviani hanno voluto raccontare la precarietà e la “peste” domestica che
avvolge le loro vite; non è un caso se i due registi fiorentini abbiano scelto
proprio in questi tempi di rappresentare tali tematiche; infatti, la pestilenza
potrebbe rappresentare la metafora della crisi odierna: crisi di certezze e di
valori, ma anche la precarietà dei giovani e il loro bisogno di fare comunità. Il messaggio che sembra vogliano dare i registi fiorentini è proprio questo, e le loro parole lo confermano: "La peste è il punto di partenza del film
che rappresenta il male dei nostri tempi, riapparsa, oggi, in forme
diverse".
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