Perché recarsi
al bar della metro Lambrate di Milano l’8 maggio e, soprattutto, con quale
motivazione? Semplice: l’esibizione di Gianluca de Rubertis.
Pianista leccese, classe 1976, cresciuto
nella vicina Matino, de Rubertis sperimenta fin da bambino la passione per la
musica, soprattutto per il pianoforte, strumento di cui s’innamora
immediatamente. L’amore per il mondo dei suoni rappresenta un tratto distintivo non solo dell’artista ma
di tutta la famiglia de Rubertis: il cantautore ha infatti ereditato la
passione dai genitori, entrambi poliedricamente musicofili.
Gli esordi del giovane leccese sono ardui, com’è per
qualsiasi artista che comincia.
Spinto dall’entusiasmo
e incuriosito dal mondo musicale, dopo i primi successi locali de Rubertis
decide così di lanciarsi nella sfida più difficile per lui: formare un gruppo e
produrre un disco. Nel 2001 insieme alla sorella Matilde, Riccardo Schirinzi e Giancarlo Belgiorno dà vita al gruppo degli Studiodavoli, punto iniziale di una
serie di successi. Dopo diversi
riconoscimenti e album (Megalopolis
nel 2004 e Decibels for dummies nel 2006), poco
dopo fonderà il duo Il
Genio insieme ad Alessandra Contini: l’originalità
del duo consiste proprio in uno stile retrò e deliziosamente naif,
probabilmente la componente decisiva del loro successo e che ha fatto breccia
nel cuore degli ascoltatori. In pochi anni il duo ha registrato un grande
apprezzamento da parte dei media, letteralmente affascinati dallo stile
musicale del gruppo. Nel 2012 dal lancio della sua carriera da
solista nasce invece l'album Autoritratti
con oggetti, in cui de Rubertis è cantante e compositore (alla chitarra
e alla tastiera).
Rispetto ai
precedenti lavori (gli album degli Studiodavoli
e de Il Genio) ciò che si nota nello stile compositivo di Gianluca De Rubertis è una
maturazione nelle ultime composizioni, uno stile più vivido e limpido e ciò
emerge soprattutto in canzoni come Io
addio e Valzer della sera, entrambi
contenute nel suo disco Autoritratti con
oggetti; il primo è un brano scritto d’estate ma nostalgico, in cui attraverso i soli
pianoforte e violino emerge un’atmosfera lunare dove ci si sveste di se stessi
per poter abbandonare l’altro; il secondo è un
valzer, anch’esso malinconico: uno specchio per tutti coloro che si sentono soli
e avvertono lo smarrimento della vita.
Si
coglie inoltre il desiderio di affrontare diversi temi, tra questi quello della
solitudine e dell’amore, presentati al pubblico in maniera davvero coinvolgente
grazie alle atmosfere da lui create nelle sue performances: atmosfere fatte di silenzi, di luci, di ombre e ritmi
avvolgenti. Cifre costanti delle sue canzoni sono i temi sociali e
sentimentali: sofferenza, dolore, perdita che trasportano l’ascoltatore nella
dimensione intimista dell’artista.
Ma forse il tema veramente prediletto
dal cantautore leccese è l’amore: un amore musicato, deriso, sbeffeggiato,
disatteso, reso in maniera armonica grazie alla sapiente unione tra testo e
metrica; il risultato è davvero gradevole e raffinato poiché alla musica
classical-pop de Rubertis unisce nei suoi testi anche un lato sarcastico quando
si parla di donne.
Quello di de
Rubertis si presenta quindi come uno stile sui
generis; egli crea mondi cantati al buio, del mistero e dell’incertezza,
introdotto talora dagli accordi del piano solo, altre volte dalla chitarra.
Caratteristica delle sue performances
è che esse iniziano sempre con qualche luce soffusa, che va poi ulteriormente
sfumando nel corso dell’esibizione fino ad ottenere un buio quasi completo.
Alla fine illuminati sono solo gli strumenti necessari per la performance: le chitarre elettriche, i
violini, i soffi sospirosi dei fiati e,
ovviamente, il solista che canta. Grazie
al suo pianoforte, che armonizza il tutto rendendo l’atmosfera suggestiva, ecco
che si crea un sodalizio tra musica, gesti e silenzi: il risultato finale per chi
ascolta è un silenzio che diventa armonia e viceversa.
Le sue sonorità sono in bilico tra le tradizioni
musicali d’oltralpe e lo stile electro-pop di matrice anglosassone; potremmo
dunque definire il suo uno stile classical-pop. In altre parole, quello di de
Rubertis è uno stile eclettico, proprio perché si rifà un po’ ai cantautori
degli anni ’80 (si pensi a Gaber), ma anche a quelli più moderni, ad esempio a
Renzo Rubino (emerso sui principali palchi italiani grazie all’esibizione al
Festival di Sanremo 2013), il cui stile per certi aspetti lo ricorda. I due
giovani artisti presentano infatti delle affinità: l’impostazione timbrica in
entrambi baritonale, lo stile compositivo, il ritmo delle canzoni e con esso il
modo di accostarsi al piano.
Quello di de Rubertis è un approccio curioso e insolito
alla musica, e perciò possiamo senz’altro annoverarlo fra le realtà più
interessanti dell’attuale panorama
musicale italiano.
Il motivo per cui vale la pena andare
a sentire de Rubertis è quindi duplice, formale e sostanziale: sa rendere
carichi di fascino gli accordi con i tasti bianchi e neri del pianoforte,
trasformando il silenzio in qualcosa di veramente suggestivo; i suoi testi poi sono
spazio di riflessione, per i temi affrontati e la spigliatezza nel trattarli.
Tutto questo lo distingue da altri
compositori “commerciali”, rendendolo unico nel suo genere.
Lavinia Alberti
Nessun commento:
Posta un commento