Dopo Habemus Papam uscito nelle sale cinematografiche nel 2011, film
sulla crisi sociale e personale di un uomo candidato a diventare Papa (interpretato
da Michel Piccoli), questa volta Nanni Moretti con Mia Madre (12esimo lungometraggio), sceglie di portare sul grande
schermo una storia di dolore e di perdita: una storia fatta solo di sentimenti
veri.
In passato Moretti aveva già
trattato tematiche simili, di dolore struggente, si pensi a La stanza del figlio (2001) o a Caos calmo
(2008), ma questa volta unisce a tali tematiche un valore aggiunto, proprio
perché si tratta di una vicenda autobiografica; il regista infatti nel 2011
(proprio durante le riprese del suo precedente film) aveva perso la madre, ed è
proprio quello che succede alla sua protagonista, Margherita, una regista che
sta girando un film su degli operai di fabbrica che perdono il lavoro.
Ad interpretare il ruolo della protagonista è Margherita Buy, come sempre di eccezionale bravura, il cui ruolo sembra tagliato apposta per lei. Nel film interpreta la parte della regista, una donna arrogante, sempre scontrosa con chi le sta accanto e che senza rendersene conto respinge chi la circonda. E’ un personaggio che come ha detto lo stesso Nanni Moretti, rappresenta il suo alter ego, solo con qualche differenza: lei è un po’ più nevrotica e incostante. Margherita vive infatti una drammatica situazione: la malattia della madre, una ex insegnante di latino, molto amata dai suoi ex allievi, che la definiscono una figura materna. Il ruolo di quest’ultima è affidato a Giulia Lazzarini, attrice di grande esperienza, che riesce anche lei nel corso del film a far calare lo spettatore nel dramma che sta vivendo.
A vivere con lei questa
drammatica vicenda è il fratello Giovanni, il cui ruolo è impersonato dallo
stesso Moretti, la cui figura non è così ben delineata come quella della
sorella. Il film è un continuo descrivere la vita che conduce Margherita e
quella della madre in ospedale: un pendolo tra la vita (quella di Margherita e
Giovanni) e la morte (quella della madre). Ben giocata è poi questa continua
alternanza tra scene drammatiche e comiche, queste ultime affidate
all’abilissimo John Turturro.
In tutto il film la madre è
sempre al centro di tutto, anche quando questa non è inquadrata fisicamente
dalla telecamera, poiché vi sono continui richiami ad essa (oggetti, ricordi e
discorsi legati a lei); è dunque una
figura onnipresente, che riempie le vite dei figli, che scandisce ogni singola
ora del giorno.
La regia di Moretti coglie abilmente
ogni piccola sfumatura dei personaggi, ne coglie le ansie e le angosce,
soprattutto quelle di Margherita, che durante le riprese del film pensa
costantemente alla madre in ospedale e alle sue sofferenze.
Moretti ancora una volta ci
consegna un film dalle tematiche molto forti, struggenti. Merito dell’atmosfera
che si crea in sala sin dall’inizio del film è di Margherita Buy, che col suo
modo di recitare così spontaneo e immediato è riuscita a rendere compartecipe
lo spettatore di questo dolore, di questa inquietudine interiore. Il suo
personaggio, non era certo semplice da interpretare proprio per il lavoro di immedesimazione
nel ruolo: quello di una figlia che perde la propria madre che se ne va
lentamente e silenziosamente.
Ci sono poi diversi momenti del
film particolarmente toccanti, in cui difficilmente si trattiene la commozione;
ciò è dovuto anche al fatto che si tratta di una storia in cui ognuno di noi
per motivi personali si può rispecchiare.
Un ruolo altrettanto importante è
affidato poi alla colonna sonora, fatta di parti strumentali e di brani cantati;
si va infatti dalle musiche di Jarvis Coker a quelle di Philip Glass fino a
quelle di Arvo Part, (ad esempio Cantus in memory di Benjamin Britten e Tabula
rasa, queste ultime usate da Moretti come elemento di congiunzione fra la
realtà e i momenti di sogno o di ricordo.
Per Moretti girare questo film
sulla madre non è stato affatto facile; è stato lui stesso a dirlo:
“Di solito faccio passare parecchio tempo tra un film e l’altro. Ho
bisogno di lasciarmi alle spalle l’investimento psicologico, emotivo del film
appena fatto. Ci metto sempre un bel po’ di tempo per ricaricarmi. Stavolta
invece, appena uscito Habemus Papam, ho
cominciato subito a pensare a Mia madre. Ho iniziato a scrivere quando nella mia vita erano appena successe le
cose che poi ho raccontato nel film. Dopo la prima stesura della sceneggiatura,
sono andato a rileggermi i miei diari scritti durante la malattia di mia madre
perché immaginavo che quei dialoghi, quelle battute, avrebbero potuto
aggiungere peso e verità alle scene tra Margherita e la madre. Ecco, rileggere
quei quaderni è stato doloroso”.
Le due figure delineate da
Moretti sono dunque antitetiche: quella di Margherita rappresenta l’immagine
della donna apparentemente forte e aggressiva, ma in realtà fragile e confusa
che alla fine sceglie di andare avanti nonostante tutto; dall’altro fronte c’è
Giovanni che invece, non reggendo la difficile situazione sceglie di
abbandonare il lavoro che aveva.
Mia madre è dunque un film che porta sullo schermo tantissimi temi
e sentimenti: la solitudine, la vita, la morte, la paura di rimanere soli,
l’angoscia e la paura del vuoto. Un film che riporta ai veri valori della vita:
l’amore per le persone che amiamo, così come sono, fino alla fine.
Lavinia Alberti
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