Dopo Candidato a
sorpresa, film su un uomo politico la cui figura era al centro dei media
digitali, ancora una volta Jay Roach sceglie di affrontare un film dai temi politici e
sociali e di portare sul grande schermo la storia di un uomo dai grandi ideali,
prima ancora che di un grande sceneggiatore.
Il film, basato sulla biografia di Trumbo (di Bruce Alexander Cook), racconta la vita di uno dei più famosi sceneggiatori di Hollywood, Dalton Trumbo, magistralmente interpretato da Bryan Cranston, candidato agli Oscar 2016 come miglior attore; il cast vede interpreti di grande talento: da Diane Lane nel ruolo di Cleo Fincher Trumbo a Helen Mirren perfetta nei panni della giornalista anticomunista e promotrice delle idee americane, fino a Michael Stuhlbarg interprete di Edward Robinson.
Ambientato negli anni d’oro di Hollywood, del
maccartismo, della Guerra Fredda e in quelli in cui si dava la caccia ai
comunisti considerati dei poco di buono, per non dire delle figure socialmente “devianti”,
la pellicola focalizza l’attenzione sulla carriera del talentuoso sceneggiatore.
Marchiato nella lista nera insieme ad altri nove collaboratori della sua troupe
per le sue idee comuniste, egli subirà una battuta d’arresto cui non si
rassegnerà.
Il regista con
questo film sceglie dunque di raccontare la storia di uomo disposto anche a
pesanti compromessi pur di portare avanti i propri ideali e valori morali e di smantellare
i vecchi sistemi e pregiudizi classisti. Trumbo benché in tempi bui e in
maniera insolita riuscirà a conquistare ben due Oscar: per la sceneggiatura di Vacanze romane (1954) e de La più grande corrida (1956).
Il film attraverso l’alternanza di filmati
d’epoca e scene girate in set non sceglie solo di mostrare l’aspetto politico e
ideologico di questo personaggio ma anche altre sfaccettature; diverse sono
infatti le scene di vita familiare in cui appare il volto più “umano” del
protagonista e si entra in punta di piedi nel suo delicato equilibrio familiare
così da percepire come anche questa sfera sia stata “lacerata” dalle scelte
politiche dello sceneggiatore. Il vissuto di Trumbo è dunque quello di un uomo
continuamente sotto accusa e giudizio, desideroso di giustizia sociale e
voglioso di liberarsi dai fardelli e i pregiudizi della società degli anni del
dopoguerra.
La pellicola la cui durata è di poco più
di due ore, è ben congegnata dal punto di vista registico. Anche la fotografia
curata da Jim Denault è eccellente per non parlare della colonna sonora
composta da Theodore Shapiro, le cui note jazz (fondendosi con la “sonorità”
del battito della macchina da scrivere) aprono i titoli di testa accompagnando
le immagini del protagonista. Il repertorio jazz benché marginale, ha una sua
ciclicità: viene applicato nei titoli di testa per presentare il carattere del
protagonista, energico e stacanovista, e riproposto nei titoli di coda, accompagnato
questa volta a immagini di repertorio.
La storia di Dalton Trumbo fa riflettere
su come a volte l’umanità e in questo caso una nazione come l’America (che da
sempre si è vantata del suo essere democratica) sia stata invece capace di
etichettare, classificare solo per appartenenze politiche e ideologiche; è un
film che mostra il trionfo dei vinti e della moralità che dimostra come l’arte
non possa avere vincoli o essere asservita ai regimi, proprio perché essa è per
sua natura espressione di libertà e creatività.
Lavinia Alberti
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