Il 2015 si apre con un
lutto nel mondo della settima arte: la morte del regista Francesco Rosi.
Il regista e
sceneggiatore napoletano si è spento all’età di 92 anni a Roma. Era considerato
una delle più importanti figure del dopoguerra. Iniziò la sua carriera nel
mondo dello spettacolo nel ’46, come assistente di Ettore Giannini e lavorò
anche a fianco di Luchino Visconti per La
terra trema (1948) e Senso
(1953).
Negli anni successivi
contribuì al successo di film, come I vinti di Michelangelo Antonioni (1953)
e Proibito (1954), di Mario
Monicelli. Due anni più tardi, nel 1956, sarà co-regista, insieme a Vittorio
Gassman, nel film Kean -Genio e sregolatezza.
L'anno della sua definitiva
emancipazione sarà il ’58, quando realizzerà il suo primo lungometraggio La sfida, che otterrà poi il consenso della
critica. L’anno successivo dirigerà uno dei grandi attori italiani: Alberto
Sordi ne I magliari (1959), storia di un immigrato che, dalla Germani
all'Italia, si troverà faccia a faccia con la camorra.
Il cineasta della realtà,
a partire dagli anni ’60 racconterà i mutamenti della nostra società e darà
vita, con uno suo stile asciutto e concreto, al primo cinema d'inchiesta.
All’interno di questo filone, l’autore
napoletano si mostra interessato all'evoluzione della società italiana, nel
bene e soprattutto nel male. Ciò che più gli interessava descrivere era la
denuncia della corruzione, della malavita e dell’assenza dello Stato, tratto
peculiare del meridione d’Italia e non solo.
I suoi film sono ambientati
in varie regioni della penisola: dal Lazio alla Campania, alla Sicilia; quest’ultimo
è il caso del film Salvatore Giuliano (1962), che racconta la vita di
un bandito il quale fondava la sua esistenza sul contrabbando con la complicità
di un movimento indipendentista.
Un anno dopo Rosi lavorerà ad un altro capolavoro: Le mani sulla città. Esso rappresenta, forse, una dei capisaldi della sua filmografia, uno dei film più noti insieme a tanti altri; è la storia di un costruttore edile, un uomo che vive nella totale illegalità. Con questo film Rosi racconta la sua Napoli deturpata dallo sfruttamento edilizio.
Un anno dopo Rosi lavorerà ad un altro capolavoro: Le mani sulla città. Esso rappresenta, forse, una dei capisaldi della sua filmografia, uno dei film più noti insieme a tanti altri; è la storia di un costruttore edile, un uomo che vive nella totale illegalità. Con questo film Rosi racconta la sua Napoli deturpata dallo sfruttamento edilizio.
Negli anni ’70 affronterà
ancora temi scottanti in Uomini contro,
volto a denunciare l’atrocità della guerra. In seguito girerà Il caso Mattei, Lucky Luciano (1973),
film che riscosse grande successo grazie anche all’interpretazione dell’attore
milanese Gian Maria Volontè.; poco dopo realizzerà anche la versione
cinematografica di Cristo si è fermato ad
Eboli (1979) tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Levi, sempre con Volonté
protagonista.
In tempi più recenti, nel
1990, realizzerà Dimenticare Palermo, anch’esso film di denuncia sociale
e di malavita, tratto dall’omonimo romanzo di Edmonde Charles-Roux,.
Ciò che accomuna i film d’inchiesta del
regista scomparso è il fatto che i suoi personaggi trasformano l’illegalità, il
malaffare e l’omertà in modo di vivere, offrendo per tale ragione molteplici
spunti di riflessione allo spettatore. Chi si può immedesimare e rispecchiare
nei suoi film (e ci si riferisce a quelli d’inchiesta), è soprattutto il
cittadino meridionale, colui che vive immerso in una realtà potenzialmente
splendida e amena, ma concretamente soffocata dal degrado e dal sudiciume delle
periferie, e soprattutto dalla mentalità e l’incuria di una popolazione rozza,
omertosa, il cui paradosso sta nel fatto che essa sembra non patire tutto
questo, vivendo come se nulla fosse (un po’ come i pesci che non si accorgono
di nuotare nell’acqua torbida).
Tale tipo di società è descritta nel film precedentemente citato (Dimenticare Palermo, film dai temi molto toccanti, soprattutto per un siciliano).
I suoi film, proprio per
il taglio giornalistico e d’inchiesta, descrivono una realtà nuda e cruda,
spiazzano, lasciano di stucco proprio per l’estrema verità: forniscono allo
spettatore un vero e proprio specchio della società.
Come ha dichiarato Rosi stesso in una recente
intervista: «fare cinema significa contrarre un impegno morale con la
propria coscienza e con lo spettatore». Recentemente il regista
Paolo Sorrentino ha così commentato la sua scomparsa:
«Francesco
Rosi è stato uno dei più grandi registi del mondo, non solo italiani. Esistono
dei registi, che sono pochissimi nel mondo, portatori di mondi che sono capaci
di costruire dei mondi e lo fanno attraverso l'invenzione di metodi e di stili
e Rosi era uno dei pochissimi registi che ha portato all'attenzione di tutti
dei mondi».
Ciò che lo caratterizzava era una ricerca della verità
senza compromessi e senza indugi, e pochi registi lo hanno fatto. Con lui se
n’è andato un regista che ha dato un grande contributo non solo al cinema, ma
anche al giornalismo.
Lavinia
Alberti
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